Uno pensa che il meccanismo della legalità e del vivere democratico sia regolato dai meccanismi oliati dei codici, delle sentenze, delle disposizioni degli organi amministrativi, compresi quelli superiori ai quali ci si è affidati, cioè quelli europei. E invece si scopre che no, che in Italia valgono solo i ricorsi, e tutto il resto è noia.
Spieghiamo. Giovedì scorso la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso firmato dal Sindacato italiano dei balneari (SIB), dall’Associazione nazionale approdi turistici (ASSONAT) e dalla Regione Abruzzo contro una sentenza del Consiglio di Stato del 2021 che annullava le proroghe delle concessioni balneari. Il CdS aveva anche fissato la loro scadenza al prossimo 31 dicembre.
Non era un’iniziativa nata dal CdS di sua sponte, ma dava seguito a un appello del Comune di Lecce, che contestava una sentenza del Tar andata a favore del titolare di uno stabilimento balneare, che s’era rivolto al tribunale amministrativo contro il mancato rinnovo automatico della sua concessione da parte del Comune. Il Consiglio di Stato aveva accolto il ricorso, giudicando contestualmente non più valide le proroghe, che violavano la normativa europea. Il SIB però era ricorso in Cassazione, e adesso è arrivata la sentenza, che chiede al CdS di giungere a una nuova sentenza. Non perché il merito sia sbagliato, ma solo per sviste procedurali, anche perché nel frattempo un’altra sentenza del CdS (in Sicilia) praticamente sovrapponibile a quella contestata non è mai stata impugnata e oggi è passata in giudicato e dunque applicabile.
Sembra tutto complicato, è lo è. Il succo è che i trionfalismi del centrodestra (da sempre sensibili alle presunte ragioni dei balneari e sordi a qualsiasi richiamo europeo alle regole della concorrenza stabilite dalla Bolkestein) non sembrano esattamente giustificati, visto che il Consiglio di Stato (dopo quel pronunciamento cassato) è stato investito dell’onere di una nuova sentenza in materia, evitando gli eccessi di giurisdizione che probabilmente hanno limato l’efficacia della precedente e stavolta magari accogliendo le audizioni dei soggetti coinvolti. La sostanza, però, potrebbe non cambiare, visto che anche in questi ultimi tempi i vari Governi succedutisi non hanno minimamente provveduto a colmare i vuoti legislativi che caratterizzano tutto il settore, e che come spesso accade la giustizia amministrativa è chiamata a colmare i buchi.
“Il Consiglio di Stato – commenta il senatore della Lega Gian Marco Centinaio – non poteva ignorare le ragioni dei balneari: noi abbiamo sempre sostenuto la necessità di coinvolgere i diretti interessati nelle decisioni che li riguardano. Mi auguro che il prossimo pronunciamento del CdS tenga conto correttamente delle norme vigenti in Italia e di tutte le posizioni”. “Ritengo improcrastinabile – aggiunge Marco Scajola, assessore al demanio della Regione – un provvedimento del Governo per arrivare a un ordinamento omogeneo delle concessioni demaniali marittime che faccia chiarezza una volta per tutte sul futuro di questo settore”.
L’unica iniziativa intrapresa dall’attuale Governo, però, sembra rimasta la famosa mappatura dell’esistente patrimonio litorale italiano: nel caso risultasse abbondante e con una congrua quota di disponibilità a nuovi insediamenti, potrebbe costituire ragione per farlo esulare dalle direttive Bolkestein (trasparenza e gare aperte per l’attribuzione delle concessioni in aree “non abbondanti”). Da quest’indagine (“Relazione sullo stato di avanzamento dei lavori del tavolo tecnico consultivo”) l’Italia vanterebbe 11.173 chilometri di coste, contro gli 8.000 indicati dalla Treccani o i 7.500 dal Wwf.
In realtà, le misurazioni delle coste sono oltremodo complicate, anche per le continue variazioni dei profili, tra erosioni e depositi. “Le coste italiane – riporta il dossier del Wwf – sono la porzione di territorio che, negli ultimi 50 anni, ha subito le maggiori trasformazioni. Il 51% dei paesaggi costieri italiani (circa 3.300 km) sono stati trasformati e degradati da case, alberghi, palazzi, porti e industrie. Appena 1.860 km (il 23%) di tratti lineari di costa più lunghi di 5 km nel nostro Paese, isole comprese, possono essere considerati con un buon grado di naturalità”.
Il risultato della misurazione-mappatura del Governo è che l'”ingombro” delle concessioni balneari su un monte di oltre 11.000 chilometri di coste sarebbe pari ad appena il 19%. Ma altro sarebbe il dato se si considerassero valide le misurazioni di enciclopedie o associazioni, o se si togliesse dal computo la quota con caratteristiche orografiche inadatte per lettini e ombrelloni.
In attesa di nuove puntate di questa disarmante saga, la Commissione europea ha notificato l’apertura di un procedimento d’infrazione contro l’Italia. Quanto finirà per costare, stavolta, quest’inerzia colposa?
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