A furia di bacchettate, ci sono cresciuti gli eurocalli. Ma la parola d’ordine per questo Governo resta sempre quella: resistere!
La questione è quella, annosa, delle concessioni balneari. L’ultima bacchettata all’Italia (in ordine di tempo) è arrivata l’altro giorno dall’Unione europea, con una letterina che in sostanza dice: perché mai non avete ancora proceduto con l’adeguamento alla direttiva Bolkenstein per quanto riguarda il regime normativo che disciplina le concessioni di spiagge e arenili? Non solo: la Commissione sottolinea anche che il Decreto milleproroghe dello scorso febbraio, introducendo il rinvio di un anno delle gare, rappresenta un rinnovo automatico delle concessioni esistenti ai medesimi titolari.
Dire che non si tratta di un fulmine a ciel sereno è un eufemismo: la procedura d’infrazione risale al 2020, quando Bruxelles mise in mora l’Italia sullo stesso tema. Il nodo della questione è la famigerata “direttiva Bolkestein” (varata nel 2006), quella che stabilisce che le autorizzazioni, ove limitate per via della scarsità delle risorse naturali (ad esempio le spiagge, ma anche le piazze dei mercati o i plateatici dei bar), devono riguardare periodi limitati ed essere assegnate con una selezione pubblica e regolata da criteri trasparenti e oggettivi. Già prima, nel 2009, nel 2010 e nel 2016, la Corte di giustizia dell’Unione europea aveva stabilito che l’abitudine tutta italiana di prorogare automaticamente le autorizzazioni vigenti delle concessioni balneari era incompatibile. Una raffica di messe in mora, e bacchettate, che però non produssero alcun effetto: l’Italia ha continuato a prorogare le concessioni fino a oggi, malgrado nel 2019 la posizione dell’Ue sia stata affiancata anche da quella del Consiglio di Stato, l’anno scorso, che imponeva lo stop ai rinnovi automatici e la messa a gara delle concessioni entro il 31 dicembre 2023. Ancora una volta, niente da fare: resistenza. Un muro di gomma che i Governi succedutisi hanno mantenuto per non scontentare il mondo balneare, che costituisce un buon bacino di voti, e per non aver mai voluto provvedere a gettare le basi per il riordino del settore, a partire dai bassi canoni fossilizzati nel tempo, per finire all’equilibrio tra spiagge libere e quelle gestite.
Adesso, con la nuova procedura d’infrazione dell’altro giorno, l’Italia ha due mesi di tempo per rispondere e agire. Ma Governo, e categoria interessata, confidano nella mappatura del demanio marittimo iniziata lo scorso luglio, che ha accertato come il 67% dei litorali italiani sia libero e concedibile. Fatto che potrebbe far esulare il regime delle concessioni balneari dalla sfera d’influenza della Bolkestein, vista la non esiguità del bene pubblico in questione, appunto i litorali. E allo stesso tempo garantire la concorrenza chiesta dall’Europa con nuovi bandi di gara per l’assegnazione di spiagge ancora non occupate.
I dubbi però restano. La realtà è che il nostro Paese vanta più di 8.000 chilometri di coste, per circa 19 milioni di metri quadrati di spiagge, sulle quali insistono 103.620 concessioni, per 6.318 stabilimenti balneari, meno di un’impresa per chilometro di costa, e un miliardo di fatturato annuo complessivo, cioè una media di 159.000 euro per azienda.
L’attuale stallo giuridico non giova a nessuno, né al Governo, che viene regolarmente ripreso da Bruxelles, minacciando di inquinare anche le trattative su temi ben più gravosi, né agli stessi balneari, che vivono in una sorta di animazione sospesa, senza sapere per quanto potranno usufruire delle loro rendite di posizione acquisite negli anni, o quando invece dovranno partecipare ai bandi di assegnazione. Proprio sulle gare insistono i problemi maggiori, a partire dal “pregio delle spiagge”: comprensibili le perplessità degli imprenditori (soprattutto quelli più strutturati) che hanno pesantemente investito nelle concessioni e si sentirebbero sperequati da un regime indiscriminatamente concorrenziale. E anche se i metodi di compensazione potrebbero garantire un equo risarcimento, anche con quote legate all’avviamento (come si diceva un tempo) o al premio d’ingresso, ugualmente gli operatori si potrebbero trovare in spiacevoli condizioni di competizioni asimmetriche, dove davvero uno vale uno. Va considerato poi il valore aziendale di impresa nei criteri di assegnazione e di indennizzo delle future concessioni: “Il valore aziendale non è un privilegio – sostengono gli operatori -, ma il giusto riconoscimento che merita chi ha fatto investimenti e deve essere tutelato”.
A causa dell’illegittimità del quadro legislativo italiano, le concessioni balneari prorogate dall’attuale normativa potrebbero divenire oggetto di ricorso giurisdizionale e annullamento da parte dei tribunali italiani. “Si spera dunque che la lettera arrivata da Bruxelles possa rappresentare lo scossone definitivo per spingere il governo a mettere fine a una situazione che si protrae ormai da troppi anni. La Premier è in questo momento in difficoltà a causa delle grandi promesse fatte in campagna elettorale, ovvero quelle di escludere le concessioni balneari dalle gare, ma questa strada si potrebbe intraprendere solo arrivando a uno scontro diretto con Bruxelles e con una buona parte dell’opinione pubblica italiana”. Non lo diciamo noi, ma lo sostiene Alex Giuzio, caporedattore di MondoBalneare, l’house organ del settore. E se lo dicono pure loro…
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