L’approvazione da parte del Consiglio dei ministri del ddl sull’autonomia differenziata (precisamente le “disposizioni per l’attuazione dell’autonomia differenziata delle Regioni a statuto ordinario ai sensi dell’articolo 116, terzo comma, della Costituzione”) sta aprendo uno scenario originale che potrebbe valere perfino nella tormentata vicenda delle concessioni demaniali, la “questione balneari”.



È stranoto che l’Europa e il Consiglio di Stato hanno imposto all’Italia di riassegnare i litorali con evidenza pubblica, che vuol dire azzerare l’esistente e bandire a gara l’aggiudicazione delle concessioni. Il Governo Draghi, recependo le indicazioni, aveva fissato il tutto entro la fine di questo 2023, con le aste da tenersi subito dopo, a cura dei Comuni interessati. Ed è altrettanto stranota la posizione dei balneari, incerti sulle eventuali concorrenze di grandi gruppi, sui ristori per gli investimenti che andrebbero perduti in caso di mancato rinnovo, sulla capacità di valutazione delle imprese che da anni hanno costruito la salvaguardia dei litorali sui quali insiste la loro attività. Posizioni accolte, in campagna elettorale, da molti esponenti dell’attuale Governo Meloni, promesse che però adesso, se tradotte in ennesimi rinvii o dilazioni, rischierebbero di generare indesiderate frizioni con la Commissione europea e con il Consiglio di Stato. Ma ecco che l’apertura all’autonomia regionale fa intravvedere una strada di conciliazione.



La road map la propone Antonio Capacchione, presidente del Sindacato italiano balneari aderente a Confcommercio. “Governo e Parlamento, oltre a emanare nuove leggi sul federalismo, potrebbero applicare anche le leggi già vigenti”, ha detto, commentando il ddl sull’autonomia. “Esiste ad esempio il decreto legislativo sul federalismo demaniale n. 85 del 28 maggio 2010 che, ferma restando l’esclusiva competenza statale in materia di concorrenza, trasferisce alle Regioni anche il demanio marittimo. Tale trasferimento eliminerebbe l’attuale contrasto fra le Regioni e i Comuni che esercitano le funzioni, mentre lo Stato continua a regolare e incassare i canoni demaniali o provvedere alla delimitazione del demanio marittimo”.



Il Sib si riferisce alla ripartizione duale tra chi deve esercitare le funzioni (cioè Regioni e Comuni) e chi incassa (lo Stato). Se fossero attuati gli articoli 3 e 5 del dlgs 85/2010 i canoni sarebbero determinati e incassati non più dallo Stato ma direttamente dalle Regioni e dai Comuni. “Ma soprattutto – ha continuato Capacchione -, con il federalismo demaniale la determinazione della linea demaniale, quindi la sdemanializzazione e le devoluzioni delle opere, sarebbero di competenza delle Regioni. In definitiva se solo fosse attuata la legge vigente verrebbe meno l’ingerenza dell’Agenzia del demanio nel settore. E invece a distanza di tredici anni manca ancora il Dpcm attuativo di questo trasferimento”. Una distrazione che, da sola, potrebbe dunque risolvere almeno in parte l’odierna impasse, o meglio si potrebbe spacchettare l’intera materia in venti porzioni, quante sono le Regioni, ognuna probabilmente più sensibile alle contingenze locali ma anche direttamente interessata alle politiche dei canoni. Salvo però riscontrare alla fine fastidiose sperequazioni tra territori e lasciando intatto il diktat su gare e affidamenti.

Nel frattempo, fa discutere la proposta avanzata da Umberto De Angelis (esperto di demanio marittimo) riportata dall’house organ di categoria, MondoBalneare. Una proposta che, come dice lo stesso De Angelis, “consentirebbe di rassicurare molti operatori e incoraggiare tutti gli altri ad avere fiducia nelle proprie capacità imprenditoriali”, e riassumibile in sette punti.

1) In applicazione alla legge 118/2022, le amministrazioni comunali comunicano tempestivamente attraverso i propri siti web, non oltre il 30 aprile, che le domande relative alle richieste delle concessioni demaniali marittime per fini turistici, ricreativi e sportivi devono essere presentate entro il prossimo 31 maggio.

2) I concorrenti compilano l’apposito modello di domanda e allegano la documentazione richiesta.

3) Entro i 15 giorni successivi alla scadenza della presentazione delle domande, le amministrazioni comunali pubblicano l’elenco dei concorrenti ammessi.

4) In assenza di richieste concorrenti per la stessa area, si procede all’assegnazione.

5) In presenza di più richieste per la stessa area, le amministrazioni comunali invitano i concorrenti a presentare i progetti di occupazione conformi ai piani di spiaggia, dove presenti, o alle indicazioni della destinazione d’uso.

6) Le amministrazioni devono comunicare cosa intendono privilegiare nell’interesse della comunità e, nel caso in cui le finalità siano le stesse, i criteri di giudizio e i valori assegnati nella formazione della graduatoria.

7) La durata della concessione sarà di almeno dieci anni in presenza di immobili da accatastare o accatastati e di almeno cinque anni per occupazioni con attrezzature e ripristino a fine della stagione balneare dello stato originario.

Com’è evidente, la questione delle concessioni balneari resta apertissima. E sulla vicenda s’è innestata, l’altro giorno, anche la richiesta avanzata a Roma da 26 Comuni delle maggiori località balneari d’Italia tra Sardegna, Emilia-Romagna, Sicilia, Toscana, Campania, Puglia, Veneto e Friuli-Venezia Giulia, riuniti al G20 spiagge, il network delle destinazioni balneari con almeno un milione di presenze turistiche. I Comuni chiedono l’istituzione dello status di città balneare, che tenga conto dell’aumento della popolazione nei periodi di massima affluenza. Piccoli centri d’inverno ma metropoli d’estate: le spiagge preferite attirano più di 70 milioni di presenze da Nord a Sud.

Buon per loro, ovviamente, ma le municipalità si trovano ad affrontare la fornitura di servizi idonei (asporto rifiuti, assistenza sanitaria, sicurezza, manutenzioni…) non solo ai residenti, quindi, ma anche agli ospiti, mentre invece a oggi restano tarati esclusivamente sulla popolazione stanziale. Una richiesta subito accolta dal ministro del Turismo Daniela Santanchè, che si è impegnata “a convocare entro 15 giorni un tavolo al ministero”.

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