“Tante critiche, tante polemiche, ma c’è anche la possibilità che le nuove norme costituiscano alla fine una concreta opportunità di svolta”. Sebastiano Venneri (della segreteria nazionale di Legambiente, responsabile territorio e innovazione) si riferisce al decreto Concorrenza e alle disposizioni riguardanti le concessioni balneari, che dall’1 gennaio 2024 andranno tutte “a gara”.
Di quali opportunità parla, Venneri?
Di riuscire a dare finalmente una svecchiata all’intero settore, perché fino a oggi ci sono state davvero troppe Italie nel mondo delle spiagge.
Sperequazioni? Trattamenti diversi? Favoritismi? Tipo quello stabilimento di Capalbio che paga 4.500 euro all’anno di canone e vende un ombrellone a 3-4 mila euro a stagione?
Io dico, più che altro, di colpose “distrazioni”. Valga per tutte l’assurdità dei canoni pertinenziali, quelli che, ad esempio, avevano imposto alla struttura gestita da Briatore a Forte dei Marmi un canone ridicolo, tanto che lui stesso aveva sollevato il problema. Si era arrivati al ridicolo attraverso il succedersi di integrazioni delle norme, di interpretazioni, di varianti. Una situazione frutto di un trentennio di proroghe, che mai nessun Governo ha voluto affrontare, in un concorso di colpe che somma la forte spinta degli interessi di parte ad un’inedia politica bipartisan.
Per arrivare…?
Alla richiesta del sindaco di Lecce, Carlo Salvemini, che s’è rivolto al Consiglio di Stato per annullare l’ennesima proroga (che era stata fissata al 2033) delle concessioni. Da quell’input si è giunti a risolvere una situazione che era diventata sempre più insostenibile e che stava portando a una salatissima multa europea. E dire che noi una via d’uscita l’avevamo studiata e proposta da tempo…
Una vostra road map? Qual è?
L’abbiamo elaborata durante il lockdown. È la prassi UNI sugli stabilimenti accessibili e sostenibili, un lavoro unico in Europa (elaborato a un tavolo dove sono state invitate le associazioni di categoria) che definisce le linee guida e gli elementi necessari agli operatori per un’offerta di qualità, utile riferimento per definire quei criteri di premialità ambientale che devono essere alla base dei bandi per le nuove concessioni.
E queste linee guida sono state recepite e adottate?
Sono ancora lì, disponibili e pronte all’uso.
Mentre invece adesso si discute moltissimo sulla valutazione degli investimenti fatti e l’avviamento commerciale dell’impresa in gara, e sull’importanza che assumeranno gli enti certificatori o le commissioni di disamina.
Beh, per le certificazioni rimando alla nostra prassi UNI. Per il resto, vede, noi siamo Legambiente, a noi non interessano le diatribe economiche, non importa chi gestisce quel particolare tratto di spiaggia, ma come lo fa, ci importa la qualità della sua attività, perché il demanio è il bene comune per eccellenza, e le spiagge non si vendono, ma si concede solo la loro gestione. È proprio su quella gestione che si deve fare attenzione, magari per non ritrovarsi da qualche parte un altro “lungomuro” al posto del lungomare.
Che invece si vede dove?
A Ostia, ad esempio, un unico, interminabile susseguirsi di stabilimenti che di fatto precludono un accesso libero al litorale. Lì, per arrivare al bagnasciuga, servirebbe uno sbarco dal mare. È il risultato del tempo sulla concessione. Mi spiego: con più tempo, o addirittura con tempo illimitato davanti, appunto come è accaduto a Ostia, il gestore dello stabilimento è molto, ma molto meno portato ad investire sulla qualità, chi glielo fa fare? Le concessioni a scadenza più ravvicinata, e con valutazioni rigorose dell’attività svolta nel momento della gara per l’eventuale rinnovo, sarebbero una spinta determinante a fare meglio. E gli esempi non mancano, basta guardare il Veneto, dove le concessioni balneari sono quelle più “pesanti” in termini di Pil: lì gli operatori sono già abituati a norme stringenti e a buone pratiche. Non è un caso che in Veneto siano nate le spiagge plastic e smoking free, quelle ad alta accessibilità, quelle dove le cabine sono state costruite con il legname della tempesta Vaia…
Resta il capitolo spiagge libere.
Che vanno salvaguardate, stabilendo percentuali precise, come hanno fatti vari altri Paesi europei. Ci si potrebbe orientare sul 60%, ma si può discutere anche su numeri diversi. L’importante, però, è prendere coscienza che i litorali sono un bene comune e tali devono restare. Ma sono anche territori delicatissimi e dinamici, soggetti a continue erosioni. In cinquant’anni sono spariti 40 milioni di metri quadri di spiagge, con relativi 13 mila stabilimenti andati perduti. Dovrebbe essere questa la principale preoccupazione degli amministratori pubblici e dei concessionari privati. Perché il cambiamento climatico non è una vaga faccenda argomento da talk show, ma un incubo che è destinato a sconvolgere il mondo e cambiarci la vita.
(Alberto Beggiolini)
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