Il rinnovo delle concessioni idroelettriche scadute è una questione che eccede di molto le “utilities”. L’Italia è uno dei pochi Paesi europei ad aver adeguato le proprie regole a quelle dell’Unione e questo comporta un’apertura del mercato italiano che non ha corrispettivi fuori dai confini. Il timore è che operatori finanziari esteri possano presentarsi alle gare con vantaggi incolmabili per gli operatori industriali italiani.



Per l’Italia l’idroelettrico ha assunto un valore strategico che fino a due anni fa era molto meno evidente. Il quadro energetico italiano ed europeo è cambiato profondamente dopo l’invasione dell’Ucraina. Fino a quel momento il gas russo, economico, abbondante e affidabile, garantiva la base della produzione elettrica italiana. In quel contesto l’Italia e l’Europa si potevano permettere il lusso di corrispondere incentivi generosi alle rinnovabili ignorando i loro, ingenti, costi “occulti”.



I costi “occulti” sono almeno due. Il primo è che non essendo programmabili comportano il mantenimento in vita di un intero sistema industriale di supporto fatto da centrali termiche chiamate ad accendersi quando vento o sole vengono meno; una duplicazione dei costi. Il secondo costo è che la rete ha bisogno di investimenti miliardari per essere in grado di gestire le rinnovabili. Il solo boom dei pannelli solari da tetto comporta investimenti che prima non si ponevano.

Il gas europeo oggi è una funzione del mercato del gas liquefatto globale che è estremamente volatile e iper-competitivo. Il gas è diventato una risorsa scarsa, meno affidabile e potenzialmente molto costosa. Il problema della non programmabilità delle rinnovabili è esacerbato.



La produzione idroelettrica ha caratteristiche uniche all’interno delle rinnovabili. È programmabile, è estremamente flessibile e i bacini idrici sono nei fatti gigantesche batterie. Tutto questo è osservabile dai dati Terna. Prendiamo il caso di venerdì 29 settembre. La produzione idro passa dai 3,4 GWh delle cinque della mattina, a 4,7 alle sei fino a toccare un picco di 7,3 alle otto della mattina quando poi il solare fa la sua entrata nel sistema. Lo stesso copione si ripete la sera quando il solare finisce. Questo andamento si ripete praticamente tutti i giorni dell’anno.

L’idroelettrico è il “ponte” tra i bassi consumi della notte e i picchi della mattina e poi tra i picchi della sera e la fine della giornata. L’idroelettrico è una “batteria” che può entrare in funzione all’occorrenza per produzione che arriva a sfiorare, anche se per poche ore, più del 20% della domanda italiana. Non male per un settore, parliamo delle grandi derivazioni, che negli ultimi due decenni ha visto investimenti e incentivi che sono una frazione di quelli dati all’eolico che in compenso per interi giorni produce meno del geotermico.

L’idroelettrico ha un valore strategico assoluto, oltre che economico, nel nuovo mondo post-invasione dell’Ucraina. Oltretutto il complemento naturale delle rinnovabili, il nucleare, in Italia è un tabù e comunque non se ne parlerà per i prossimi due decenni mentre nel frattempo leggiamo dei programmi nucleari, infinitamente più concreti dei nostri, del Bangladesh che l’anno prossimo accenderà la prima centrale.

Il possesso delle concessioni idroelettriche mette nelle condizioni di estrarre valore economico e “politico” tanto più il sistema elettrico italiano rimane stretto tra l’imprevedibilità e i costi delle rinnovabili e il mercato globale del gas liquefatto. Per l’Italia scegliere gli operatori giusti è fondamentale perché il rischio è che la rendita di posizione, enorme, venga usata per obiettivi non allineati a quelli del sistema; l’errore verrebbe pagato da milioni di famiglie ogni bimestre.

Questo varrebbe per ogni Paese, ma ancora di più per il nostro che ha una storia di asset strategici messi in mano ad “azionisti sbagliati” poco edificante. In un mondo ideale basterebbe introdurre le regole e i controlli giusti per evitare di preoccuparsi di chi possiede un monopolio naturale o un asset energetico chiave. Questo non è il caso dell’Italia che ha dimostrato invece rapporti molto più sani con soggetti diversi dalla “grande public company quotata” o dal fondo infrastrutturale globale.

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