Un concistoro a fine agosto è qualcosa di inconsueto per la tradizione della Chiesa post-conciliare. Eppure la riunione convocata dal Papa a Roma per la creazione di venti nuovi cardinali, l’ottava del pontificato di Bergoglio, è tutto tranne che un colpo di coda di un Papa che si sente a fine corsa: fa parte del più ampio disegno di riforma della Chiesa che il Vescovo di Roma sta perseguendo da quasi dieci anni.



E gli effetti si vedono: nel futuro conclave, se si dovesse tenere oggi, ci saranno 11 cardinali eletti da Giovanni Paolo II, 38 eletti da Benedetto e ben 83 da Francesco. Il punto non è politico: Francesco non tenta di impossessarsi del conclave chiamando al cardinalato solo uomini di sua fiducia o in linea con la sua posizione teologica. Il punto è geopolitico e pastorale.



Geopolitico perché ad ogni concistoro il collegio cardinalizio diventa sempre più cattolico e sempre meno “romanocentrico”. C’è il primo cardinale ruandese, il primo birmano, il primo capoverdiano, il primo di Tonga. Ma, e questo forse è sfuggito a tanti, anche il primo svedese. Francesco cerca di ingrandire la portata della Chiesa per rimpicciolire il peso delle diatribe degli occidentali. Quanto possono pesare, in un simile contesto, le rivendicazioni progressiste del sinodo tedesco? Quanto possono apparire piccine le derive trumpiane di un certo episcopato americano dinnanzi alle istanze delle Chiese giovani in cui si respira ancora tutta la vitalità di una fede che non è serva di alcuna forma o potere precostituito?



È come se Francesco dicesse con i gesti quel che non riesce a dire con le parole, come se sfidasse tutti a guardare Cristo che è vivo e che non è andato in ferie lasciando tutto nelle mani degli uomini. La questione della Chiesa, la questione dei movimenti, la questione delle parrocchie è sempre e solo una: se Cristo sia o sia stato. Se il Signore c’è, e quindi va cercato e seguito, oppure se il Signore c’è stato e oggi occorre solo organizzarci meglio, spartirci le spoglie di ciò che rimane di un passato glorioso ormai giunto al capolinea.

C’è poi, non ultimo, un elemento pastorale in questo e negli ultimi concistori: non si segue un criterio onorifico per la nomina dei cardinali. Venezia non ha cardinale, Genova non ha cardinale, Torino non ha cardinale, Milano non ha cardinale, Como invece sì. E questo non dipende da un giudizio sulle persone, grandi uomini di Chiesa che instancabilmente servono la vita delle loro comunità, ma da un tentativo di educare la Chiesa italiana a non ritenersi al sicuro, a non ripararsi dietro gli onori di un tempo, a non trasformarsi solo esteriormente per poi correre ad accaparrarsi i titoli e i privilegi di una mentalità vecchia e cancerogena per il corpo ecclesiale. Francesco nelle sue nomine sceglie uomini che siano segno di una strada nuova, sedi che illuminino la strada di una conversione che il clero italiano ancora deve compiere e che il cardinal Zuppi ha splendidamente tracciato nel suo recente intervento al Meeting di Rimini.

Il punto della Chiesa, e quindi della vita, è sempre dunque lo stesso: rispondere a Uno che è presente, non trovare alibi per rispondere ad un Altro che chiama e che – con il Suo continuo chiamarci – sempre ci sposta, superando tutto ciò che è acquisito per seguire il Suo Spirito nel tempo nuovo e stupendo che ci è stato fatto in dono. Può sembrare politica, possono sembrare parole mielose dette sopra operazioni tutte umane. E invece no. In questo concistoro c’è tutto il metodo del cristianesimo.

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