Guardando l’interessante cartina che Avvenire ha pubblicato domenica per cercare di identificare i luoghi di provenienza dei nuovi cardinali, mi è capitato di osservare che tra le località più esotiche del mondo non ce n’è nessuna che si trovi nell’ex Unione Sovietica e neanche in uno di quei Paesi che erano suoi satelliti. Molti commentatori hanno notato il numero ridotto di nuovi porporati europei, la mancanza fra loro di diversi vescovi di sedi importanti, ma di quanto detto sopra, forse, non ha parlato nessuno.
Qualcuno dice che papa Francesco non ha una grande simpatia per quei vescovi. Il fatto è che forse neanche da quelle parti ce n’è molta per lui. Molte comunità cresciute al di là della cortina di ferro hanno vissuto la prova della persecuzione, fino al martirio in “odium fidei”, ma ora i loro discendenti, forti di quella tradizione in cui sono stati educati, fanno fatica a capire le novità introdotte da papa Francesco. Anzi, qualcuno fa ancora fatica a capire le novità introdotte dal Concilio.
E così, da quelle parti, nonostante il culto di san Giovanni Paolo II, uno dei loro, ma che comunque aveva cercato tenacemente di far accettare il Concilio, salgono voci di dissenso nei confronti di Francesco. Non dimentichiamo che il papa sta per andare proprio lì, perché non si occupa soltanto di formare cardinali, ma soprattutto di formare il popolo di Dio. Un’altra difficoltà del viaggio è poi, certamente, il mancato, programmato incontro col Patriarca Kirill.
Certo il presule ortodosso non ci ha fatto una bella figura. E non solo agli occhi del mondo, ma, purtroppo, anche agli occhi del suo popolo. Per la fantasia popolare è come se Ivan Drago non si fosse presentato all’incontro con Rocky Balboa, che pure si doveva tenere in casa di quel campione che diceva: “ti spiezzo in due”.
Lo so che il paragone è folle, ma, credetemi, il popolo russo sarà anche cristianizzato, ma ama da sempre gli incontri di lotta, di qualunque tipo siano. Per fortuna questa volta non c’era nessun titolo in palio, ma la prossima volta Kirill farebbe bene ad allenarsi meglio e a non ascoltare troppo i “consigli” del suo manager.
E poi ci sarà l’incontro con i rappresentanti mondiali delle religioni tradizionali. Cioè? Con quelli che a giudizio già del vecchio presidente del Kazakistan rappresentano comunità religiose di antica tradizione.
Certo, non i rappresentanti di sette, se soprattutto sono quelle che vengono dall’Occidente e che a volte sono viste come teste di ponte della civiltà americana. A parte il fatto che la storia ci insegna che sia il cristianesimo che l’islam nel loro inizio furono combattuti proprio per l’accusa di non essere religioni rispettose della tradizione, c’è da osservare, non da tifosi, ma oggettivamente, il fatto che papa Francesco, nonostante tutto, rappresenta una realtà religiosa che, pur con diverse divisioni, non è paragonabile alla miriade di capi religiosi che, sulla base di loro interpretazioni, moltiplicano all’infinito culti e pratiche devozionali di ogni tipo.
Eppure anche con loro, nonostante tutto, c’è qualcosa di molto importante da riscoprire. È quello che qualcuno chiamava senso religioso, cioè quella tendenza naturale dell’uomo, per cui non può accontentarsi delle pur preziose conquiste della scienza e nemmeno delle più geniali soluzioni della politica. Queste riguardano l’importante questione del come della vita. Le religioni, a volte, anche in modo confuso o ingenuo, ci riportano alla domanda sul perché viviamo e quindi sul dove andremo a finire.
E chi volesse sfuggire a queste domande farebbe la figura del kirillino.
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