Luca Morisi? Meglio le Brigate Rosse. No, non siamo improvvisamente impazziti. La rivalutazione del terrorismo avviene in tv, dove per screditare la “Bestia” di Matteo Salvini si fa un passo indietro fino agli Anni di Piombo. A farlo nello specifico è Concita De Gregorio nell’ultima puntata di “In Onda”, su La7. «Nel corpo a corpo, qualunque esso sia, si gioca ad armi pari, o impari dato che uno è armato ed uno no. Anche il terrorista che spara, anche se spara, rischia di morire. Non so come dire… è come una battaglia in cui i corpi si fronteggiano», la spiegazione della giornalista e conduttrice. Ciò si differenzia da quanto accade sui social: «L’aggressione che arriva dal web anonima è un po’ come il drone, il gruppo non rischia niente».
Ecco, si fa davvero fatica a comprendere come si possa creare un paragone tra il terrorismo e l’odio via social. Così come risulta incomprensibile il motivo per il quale per condannare un fenomeno/una persona si debba rivalutare altro, che merita tutt’altro che rivalutazione. È allora più “onorevole” un terrorista che colpisce un innocente perché c’è uno scontro diretto? Mentre è più grave che un hater insulti pesantemente via social perché anonimo.
MORISI-BRIGATE ROSSE, LO SCIVOLONE DELLA DE GREGORIO
Un’altra cosa “curiosa” è che nessuno si sia stupito nello studio di “In Onda” delle parole di Concita De Gregorio. Anzi la giornalista Marianna Aprile ha sposato la sua tesi, spiegando che l’anonimato che si cela dietro gli haters la spaventa di più. «Questo mi preoccupa quasi di più. Senza voler per sminuire gli Anni di Piombo, ma lì si trattava di azioni criminali con un tempo e luogo definito, con degli autori che venivano perseguiti. Oggi questo apparente essere aleatorio dell’odio e della carica di violenza nasconde una pervasività nel quotidiano difficile da incapsulare».
La conclusione di Marianna Aprile è che ciò «ci fa diventare peggiori. Non terroristi, ma peggiori». Ma pur tralasciando il tentativo di condannare la violenza virtuale nobilitando quella reale, c’è un’altra questione tutt’altro che trascurabile: Luca Morisi non è un anonimo che lascia insulti via social, non è neppure un latitante che ha ucciso delle persone ed è scappato. Quindi, viene messo alla berlina per il metodo di comunicazione adottato. Dobbiamo davvero arrivare a metter sulla bilancia il dolore, ad esempio, della famiglia di Marco Biagi e della scorta di Moro? E se proprio dobbiamo farlo, il peso è davvero inferiore a quello del dolore che si prova ricevendo insulti via social?