La polemica corre sul filo Vaticano-Stato italiano dopo l’intervento – anticipato dal Corriere della Sera, non ancora confermato dalla Santa Sede – della diplomazia vaticana in merito al Ddl Zan in discussione in Parlamento: viene citato il Concordato tra Stato-Chiesa (una delle parti fondamentali dei Patti Lateranensi del 1929, rivisti e corretti nel 1984) in quanto il testo del disegno di legge a firma Pd «rischia di violarlo». Al di là delle infinite polemiche politiche che si stanno sollevando dopo l’intervento del Vaticano con un unicum nella storia (un tentativo diplomatico di bloccare una legge ancora in discussione in Parlamento, ndr), occorre capire bene i termini della questione per comprendere se quella della Chiesa si tratti di una clamorosa ingerenza o se invece vi sia dell’altro.
Come recita la nota ufficiale del Governo italiano in merito agli accordi tra Italia e Santa Sede, l’Accordo del 1984 ha concluso «una lunga e laboriosa trattativa iniziata nell’ottobre del 1976 dal Presidente del Consiglio dei Ministri pro tempore, che avocò alla Presidenza del Consiglio tutta la materia delle relazioni tra Stato e Confessioni religiose. Obiettivo dell’Accordo è essenzialmente l’adeguamento del regolamento dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa cattolica ai principi della Costituzione repubblicana, attraverso l’applicazione del procedimento di revisione bilaterale di cui all’articolo 7, secondo comma, della stessa Costituzione». Tradotto, in Costituzione italiana vi è inserito il riferimento al “Concordato” – il nome dato ai trattati bilaterali che la Santa Sede stipula con altri stati per regolare la situazione giuridica della Chiesa cattolica in un determinato Paese – e il punto è capire dunque se vi sia o meno “ingerenza” rispetto ai contenuti stessi delle osservazioni fatte dal Segretario dei Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato, Mons. Paul Richard Gallagher.
CONCORDATO-DDL ZAN, LA CHIESA FA “INTROMISSIONE”?
«Il testo di legge violerebbe in alcuni contenuti l’accordo di revisione del Concordato», si legge nell’anticipazione fatta dal Corriere della Sera in merito alla “nota verbale” presentata dalla Santa Sede presso l’ambasciata italiana in Vaticano lo scorso 17 giugno. «Alcuni contenuti attuali della proposta legislativa in esame presso il Senato riducono la libertà garantita alla Chiesa Cattolica dall’articolo 2, commi 1 e 3 dell’accordo di revisione del Concordato», si legge ancora nell’intervento in questione. Si tratta dei commi sulla modificazione dell’accordo tra Italia e Santa Sede avvenuto nel 1984 che assicurano alla Chiesa Cattolica in Italia «libertà di organizzazione, di pubblico esercizio di culto, di esercizio del magistero e del ministero episcopale» (comma 1) e garanzie «ai cattolici e alle loro associazioni e organizzazioni la piena libertà di riunione e di manifestazione del pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione» (comma 2).
A rischio vi sarebbero con il Ddl Zan, ritiene il Vaticano, tanto la “libertà di organizzazione” quanto quella di “pensiero”: nel primo caso, il timore proviene da quanto affermato nell’articolo 7 del Disegno di Legge, ovvero l’obbligo per tutte le scuole (dunque anche quelle private e paritarie) di organizzare attività per la Giornata Nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia e la transfobia. Nel secondo caso, a rischio sarebbe la stessa comunità dei cattolici per la propria libertà di pensiero: si pensi alle concezioni sul matrimonio tra uomo e donna, alle considerazioni sull’omosessualità e all’intera dottrina sociale della Chiesa. Capire cosa avverrà al momento è ancora difficile, specie fino a quanto il Vaticano non “confermerà” ufficialmente la nota consegnata al Governo: resta in pista l’ipotesi di una “commissione paritetica” prevista dall’articolo 14 del Concordato, nel caso di scontro frontale tra i due Stati in merito ad una problematica insorta. Quello però che al momento appare è che l’intervento della Santa Sede è a tutela di quanto scritto nel Concordato aggiornato del 1984, dunque – in punta di diritto – non riguarderebbe una “ingerenza” in affari di uno Stato estero, bensì un appello in riferimento al trattato internazionale che regola i rapporti tra i due. Una richiesta legittima di modificare un testo di legge che in “potenza” potrebbe violare proprio quanto già stabilito dal Concordato (presente in Costituzione italiana).