Centrali nel dibattito di questi giorni sono le politiche di indirizzo da seguire per raggiungere gli obiettivi di politica fiscale 2024-2026. L’obiettivo dichiarato è il medesimo di sempre: recuperare risorse attingendo alla torta dell’evasione fiscale.
L’attenzione (il confronto) di questi giorni si concentra sul nuovo (sempre meno) concordato preventivo biennale mentre rimane sullo sfondo l’incompiuta global minimum tax. Cosa dovesse essere il concordato preventivo lo si è appreso lo scorso anno. cosa sarà per davvero non è dato sapere. Nelle intenzioni iniziali la proposta di tassazione, valida per due anni, doveva fondarsi su un confronto preventivo fisco-contribuenti con il preciso obiettivo di conciliare e rendere reciprocamente convenienti le aspettative del fisco e dei contribuenti. L’istituto doveva essere riservato ai contribuenti giudicati più “affidabili” sulla base degli Indicatori sintetici di affidabilità (Isa) pari o superiore a 8. Il confronto all’interno alla maggioranza ha portato a un ampliamento della platea cosicché è stato richiesto da più parti di abbassare la soglia di 8. Questo nuovo quadro ha consentito ai contrari (che lo erano sin dall’inizio) di bollare il nuovo istituto come un condono mascherato, come un favore che si vuole fare agli evasori. I favorevoli, invece, sostenevano che l’Amministrazione finanziaria realizzando, in ogni caso al rialzo, un patto con i contribuenti fedeli poteva concentrarsi sui contribuenti infedeli e, dunque, puntare al recupero di una fetta dell’evasione.
Nel 2023 la Cgia di Mestre ha calcolato che i contribuenti fedeli al fisco hanno subito una pressione fiscale reale del 47,4%, quasi cinque punti percentuali in più rispetto al dato ufficiale calcolato dal Mef. La Cgia ha spiegato le ragioni della differenza individuandole nella componente del “sommerso” che va a erodere il Pil. Anche il Mef ha dato il suo contributo alla discussione informando di aver stimato una riduzione del tax gap nel Paese passato dai 100 miliardi di euro stimati negli anni passati (a dire il vero per molti anni) a 83,6 miliardi. Da un punto di vista qualitativo è stato chiarito che l’Irpef dei lavoratori autonomi resta in Italia l’imposta maggiormente evasa (la stima individua un’evasione di 30 miliardi). Ecco spiegato, dunque, il perché il concordato preventivo biennale sia diventato il centro del confronto politico.
Si è anticipato che l’istituto subirà modifiche. Queste riguarderanno quasi certamente il parametro di ingresso. Il riferimento al voto degli Isa verrà con ogni probabilità eliminato aprendo le porte a tutte le partite Iva, anche quelle considerate “inaffidabili” in base agli indici sintetici (Isa). A questo punto del dibattito il destino del concordato preventivo appare legato a un interrogativo al quale si dovrà dare risposta. Il nuovo istituto dovrà puntare a recuperare il maggior gettito possibile o finirà per diventare un referendum fra chi lo considera uno strumento per perseguire la lotta all’evasione e chi lo considera invece una sanatoria preventiva?
Una ricerca condotta dal Sole 24 Ore ha diviso il mondo delle partite Iva in due gruppi. L’analisi, realizzata sulla base dei redditi desumibili dalle dichiarazioni 2022 presentate per i redditi 2021, ha calcolato che 1,34 milioni, cioè il 55,4%, dei lavoratori autonomi, ha un Isa inferiore a 8. I Quest’ultimi dichiarerebbero un reddito medio di 23.530 euro all’anno calcolato come inferiore per il 68,5% rispetto ai 74.698 euro dichiarati dai contribuenti affidabili. Il dato sembra essere omogeneo, nel senso che la differenza sarebbe riscontrabile in tutte le 175 categorie professionali o imprenditoriali assoggettate al regime degli Isa.
Il nuovo concordato preventivo biennale deve partire da qui: trovando il modo di far aderire, nel tempo, la quota più ampia possibile di contribuenti anche senza presentare loro offerte troppo generose perché non siano rifiutate. In questo ambito non manca chi propone per il 2024 di ottenere il recupero dell’evasione attraverso l’invio di 3 milioni di alert per famiglie e imprese. In questo modo si punterebbe sul vecchio sistema, contenzioso o sistemi deflattivi del contenzioso, per recuperare risorse. A ben vedere con l’introduzione del concordato preventivo si puntava a ridurre le diffuse e inefficienti attività di accertamento postume che finiscono per colpire sempre gli stessi con incassi mai in linea con le imposte accertate. Accogliendo la proposta di chi vuole mantenere lo status quo, si realizzerà la convivenza tra due istituti, il concordato preventivo e il già presente accertamento con adesione, che finiranno per essere due facce della stessa medaglia. Il primo verrebbe utilizzato in chiave propositiva il secondo continuerebbe a operare come strumento coercitivo a valle di attività accertative spesso presuntive. Se così fosse l’adesione al concordato preventivo verrebbe in parte minata e la tanta auspicata collaborazione fisco contribuente subirebbe una battuta di arresto e con essa la volontà di recuperare risorse per la programmazione futura.
Una proposta possibile potrebbe essere quella di fissare un’aliquota forfetaria di tassazione per il maggior reddito proposto ai soggetti con Isa inferiore a 8.
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