Intervenendo in audizione alle commissioni Affari economici e Bilancio del Parlamento europeo, il Vicepresidente esecutivo della Commissione Valdis Dombrovskis lunedì ha detto che “se tutto va in base ai piani”, le prime risorse del Next Generation Eu “arriveranno a luglio”. Basterebbe forse porre l’attenzione sul tempo tra l’adozione dello strumento (luglio 2020) e l’effettiva sua implementazione per capire che qualcosa nell’Ue non funziona bene e che quindi l’iniziativa della Conferenza sul futuro dell’Europa è quanto mai importante per eliminare i difetti che poi pesano sulla vita economica e politica dei Paesi membri.
«Già era chiaro un anno fa – ci dice Domenico Lombardi, economista ed ex consigliere del Fondo monetario internazionale – che la scansione temporale individuata per il Next Generation Eu era troppo ambiziosa alla luce dei numerosi passi istituzionali che andavano compiuti prima dell’effettiva erogazione dei fondi. Tutto questo non fa altro che evidenziare la necessità di riforme dell’Ue, soprattutto per fare in modo che sia maggiormente in grado di rispondere alle esigenze delle economie dei Paesi membri nei momenti di difficoltà e le possa sostenere in una fase delicata di trasformazione che può renderle più competitive a livello globale e, quindi, più prospere».
Secondo lei, la Conferenza sul futuro dell’Europa potrà raggiungere risultati apprezzabili?
Mi sembra che ci siano delle aspettative confliggenti sulla sua natura e sui suoi obiettivi. Alcuni la vedono come una conferenza costituente, nella quale si dovranno individuare delle riforme cruciali per l’assetto istituzionale della stessa Ue. Altri tendono a valorizzare la possibilità che si possano migliorare i meccanismi decisionali per darle maggiore slancio. Infine, c’è chi è preoccupato del fatto che la Conferenza possa partorire delle proposte che alterino in modo significativo l’equilibrio di potere esistente in Europa, che attraverso l’unanimità protegge numerosi Stati piccoli e, con meccanismi più sofisticati, qualche altro Paese.
A quale Paese si riferisce?
Si legge spesso sulla stampa che la Germania è favorevole alle grandi riforme europee, ma ogni volta che si fa un passo in più verso di esse compare la Corte Costituzionale tedesca a fungere da agente di disciplina ex post, ma molto più spesso ex ante. Detto questo è chiaro che il lavoro della Conferenza sul futuro dell’Europa è importante e per questo auspico che sia un’occasione per compiere una valutazione autentica di quelli che sono stati i successi e anche le vulnerabilità dell’Ue: insomma, per un dibattito tra diverse visioni dell’Europa, senza alcun tipo di preconcetto sulle stesse. Spero anche che le conclusioni non siano in qualche modo calate dall’alto, ma frutto di un confronto dal basso.
C’è chi ritiene che questa Conferenza possa portare alla riforma di parte dei Trattati. Cosa ne pensa?
Questo è un aspetto molto delicato ed eminentemente politico e non può dunque essere trattato come se si dovesse gestire un cavillo burocratico. Sappiamo infatti che esiste un gruppo trasversale e transnazionale che mira a una riforma dei meccanismi decisionali con l’obiettivo di dare maggiore impulso alla capacità decisionale delle istituzioni europee. Il problema è che c’è il rischio che si vada a intaccare la sovranità residua dei Paesi membri. Attribuire all’Ue prerogative proprie di uno Stato sovrano è molto rischioso in assenza di controlli democratici. Il rischio è che i Paesi più influenti, quindi non l’Italia, ne plasmino ancor più le dinamiche.
Quale Paese potrebbe sostenere una riforma di questo tipo?
Proprio quelli più grossi che influenzano sistematicamente le scelte dell’Unione, come Francia e Germania. Si tratta di Paesi eminentemente sovranisti che tendono a vedere nell’Ue un moltiplicatore della propria potenza. Una riforma dei meccanismi decisionali come quella illustrata poco fa consentirebbe loro di essere ancora più efficaci nella loro capacità di determinare le politiche dell’Ue.
L’Italia rischia quindi di trovarsi a sostenere una riforma che poi la penalizzerebbe?
È molto facile che l’Italia possa sostenere una riforma dei meccanismi decisionali come quella paventata, ma dobbiamo tener presente che il nostro Paese ha avuto sempre una scarsa capacità di influenzare le scelte dell’Ue. Dunque c’è solo il rischio di vedere venir meno la sovranità residua su alcuni temi importanti come la politica di sicurezza, della difesa o, anche, dell’immigrazione. Con ovvie ricadute sui settori strategici sottostanti.
Non dobbiamo quindi aspettarci cambiamenti positivi da questa Conferenza.
Mi sembra che non ci sia spazio per riforme capaci di far compiere all’Ue un “salto quantistico”. C’è l’interesse da parte di alcuni Stati, tra cui l’Italia, a istituzionalizzare una capacità finanziaria dell’Ue, a rendere quindi in qualche modo permanente l’iniziativa del Next Generation Eu o alcuni suoi aspetti salienti. Il problema è che quando si parla di capacità finanziaria dell’Unione bisogna fare i conti con la posizione della Germania.
Da che punto di vista?
Abbiamo già visto con l’Unione bancaria che finché si è trattato di attribuire centralmente la vigilanza non ci sono stati problemi, mentre ancora è tutto fermo per quel che riguarda il meccanismo paneuropeo di assicurazione dei depositi. E questo per l’opposizione della Germania. Ci sono inoltre dei punti interrogativi sulla politica tedesca che ne condizionano ulteriormente il sostegno fattivo a una riforma di ampio respiro dell’Ue.
Insomma, se alle iniziative di questa Conferenza mancherà il supporto della Germania non basterà la Presidenza di turno francese al momento previsto della conclusione dei lavori o l’attivismo sul terreno europeo di una personalità di elevato standing come Draghi…
Esattamente. Anche perché il fatto che Angela Merkel si accinga a uscire dalla scena politica accentua il ruolo di alcune componenti interne alla società tedesca che tendono a utilizzare il veicolo della Corte Costituzionale per frenare iniziative di integrazione simmetriche (quelle asimmetriche invece vanno sempre bene). Non credo che il duo Draghi-Macron possa controbilanciare il vuoto politico, di esperienza e di autorevolezza che l’uscita di scena della Merkel determinerà nei prossimi mesi. Se vogliamo per i due ci sarà una sorta di test: con Draghi si sono rafforzati i rapporti tra Italia e Francia, ora sarà interessante vedere fino a che punto questo asse Roma-Parigi riuscirà a influenzare, nei fatti, le dinamiche europee.
Tra i temi in discussione nella Conferenza c’è anche quello della creazione di un ministro delle Finanze unico europeo. Cosa ne pensa?
Un ministro delle Finanze unico implica l’adozione di una serie di standard, di vincoli, per i Paesi membri, a fronte dei quali dovrebbero esserci anche i vantaggi derivanti da una capacità finanziaria dell’Ue che mi sembra difficile che in Germania possa trovare approvazione presso l’opinione pubblica, per non dire della Corte Costituzionale tedesca.
Senza questa capacità finanziaria c’è il rischio di creare una figura priva di poteri effettivi come l’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune?
Se va bene sì. Tuttavia, temo che in realtà ci troviamo di fronte a un’altra iniziativa asimmetrica per introdurre una serie di ulteriori obblighi cui dovrebbero sottostare alcuni Paesi, soprattutto quelli ad elevato debito pubblico come il nostro, in assenza però di contropartite, come la possibilità di emettere debito pubblico europeo. Di fatto sarebbe un modo per aumentare i controlli su alcuni Paesi piuttosto che altri.
(Lorenzo Torrisi)
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