Una dichiarazione congiunta che riafferma la necessità di rispettare l’integrità territoriale dell’Ucraina e che pone l’attenzione su tre punti: mettere in sicurezza centrali e impianti nucleari come quello di Zaporizhzhia, garantire la libera circolazione dei prodotti alimentari destinati a Paesi terzi, permettere lo scambio dei prigionieri e la restituzione dei bambini e degli sfollati finiti illegalmente fuori dal Paese. Il documento finale, firmato a Lucerna, della Conferenza per la pace in Ucraina tenutasi in Svizzera con oltre 90 Paesi non esprime ancora un piano per il cessate il fuoco, ma secondo il ministro degli Esteri ucraino Kuleba sono stati fatti grossi passi avanti in vista di una risoluzione della crisi.
In realtà, al di là delle posizioni di 12 nazioni (tra cui i Paesi BRICS India, Sudafrica e Brasile) che hanno partecipato al summit e non hanno voluto sottoscrivere il comunicato finale, il vertice, al quale non partecipava la Russia, ha perlomeno il merito di aver parlato di una pace possibile, anche se al momento ancora maledettamente lontana. Una pace nella quale secondo Zelensky la Cina (assente a Lucerna) potrebbe essere protagonista, tanto che il presidente ucraino ha chiesto aiuto a Pechino, invocandone l’amicizia.
La realtà, racconta Stefano Caprio, sacerdote cattolico di rito bizantino, in Russia dal 1989 al 2002, teologo ed esperto del mondo russo, è che entrambe le parti sono stanche della guerra e vorrebbero almeno una tregua per congelare la situazione, in attesa che le elezioni in Gran Bretagna, Francia e USA definiscano meglio le posizioni di Europa e Stati Uniti, in vista di un vero e proprio negoziato che apra a una prospettiva di pace. Nel frattempo, anche Zelensky dovrà affrontare il suo elettorato: il suo mandato è scaduto e non è detto che gli ucraini vogliano un presidente che esclude di negoziare.
Dall’incontro in Svizzera promosso dall’Ucraina è arrivata più un’enunciazione di principi che un vero piano di pace. Si arriverà a definirlo da parte di Kiev?
Se il punto di partenza degli ucraini è di non rinunciare a nessuna delle loro terre sarà un dialogo tra sordi. Il fatto che almeno si parli di pace è comunque positivo. La guerra è in fase di ristagno totale: adesso che a Kiev arrivano un po’ di aiuti l’esercito ucraino potrebbe riprendersi forse una decina di chilometri di territorio, ma non cambierebbe molto. In qualche modo bisognerà arrivare a una tregua e poi vedere cosa si può fare.
Anche l’uscita di Putin, che chiede di mantenere ai russi i territori conquistati e un’Ucraina neutrale, dipende da questo, dalla constatazione di questa situazione?
Putin ha detto: “Noi non molleremo niente ma vorremmo fermarci”. Gli ucraini, da parte loro, non vogliono cedere ma devono fermarsi. Si vedrà.
Ma se entrambe le parti manifestano la volontà di mettere un freno alle armi è perché mettono in conto di poter concedere qualcosa, oppure no?
Almeno in linea di principio ci sarà qualche cedimento, ma nel tempo. La situazione verrà congelata e prima o poi qualcosa verrà ceduto. Per ora possiamo sperare che finiscano di bombardarsi e che si cominci un po’ a rimettere insieme i pezzi.
Uno dei punti su cui ha rimesso l’attenzione la conferenza svizzera è l’accordo sul grano: potrebbe essere quello il punto di partenza per riallacciare i rapporti tra le parti in vista di un negoziato più ampio?
È un punto importante. C’era stato un accordo sul grano promosso dalla Turchia, unico compromesso in due anni di guerra. Se si ripristina quell’accordo è una premessa per salvare la situazione. La Turchia potrebbe riproporsi come punto di riferimento, un’intesa del genere la appoggerebbero un po’ tutti.
Zelensky è sempre bellicista nelle sue dichiarazioni, ma alla fine qual è l’obiettivo dell’iniziativa di questi giorni?
Secondo me solo un armistizio, una tregua. Occorre aspettare le elezioni in USA, Gran Bretagna e adesso anche in Francia. Mancano una serie di passaggi che non possono farci guardare troppo lontano. Zelensky deve continuare a tenere alta la bandiera della resistenza perché anche lui dovrà affrontare delle elezioni. Se ci fosse una tregua l’Ucraina potrebbe andare al voto e il programma del presidente uscente sarebbe centrato sulla riconquista dei territori occupati dai russi. Putin ha già detto che con Zelensky non tratterà: è delegittimato dal fatto che ha superato il suo mandato elettorale. Non lo considera più presidente.
Una tregua, quindi, non vorrebbe dire inizio immediato delle trattative?
Servirebbe a vedere come si mette la situazione. Poi, se tutto andrà bene, si potrebbe pensare a trattative entro fine anno, meglio l’anno prossimo.
Per trattare ci vorrà comunque una nuova leadership in Ucraina?
Si vedrà se gli elettori sosterranno Zelensky e la spinta bellicista o se lasceranno spazio a chi vorrebbe intavolare un negoziato. Bisogna vedere anche cosa succederà negli USA. Se verrà eletto Trump la situazione potrebbe cambiare.
Il tycoon è tornato a ripetere che lui farebbe finire la guerra in poco tempo. Sarebbe così facile?
Come la farebbe finire, però, non lo dice. Comunque, occorre tenere conto anche della Francia: Macron è il più bellicista di tutti e bisogna vedere se riuscirà a resistere.
Chi è più stanco della guerra?
Non ne può più neanche la popolazione russa: cerca di vivere come se la guerra non esistesse, fino a che non ci sarà un’altra mobilitazione generale. C’è un rifiuto a parlarne. Gli ucraini sono ancora più stanchi, ma lo è tutto il mondo. Il problema è che la Russia si è riorganizzata puntando su un’economia di guerra: è convinta che il conflitto, come dimensione fondamentale, andrà avanti per sempre, ma pensa più a una guerra fredda che non a un impegno in cui vanno investiti i soldi subito. Il problema per Putin è che l’economia regga: la gente fa finta di niente fino a che sta bene, ma se non è più così cambia atteggiamento.
Perché non si parla della mobilitazione dei movimenti cattolici prevista per l’11 luglio in Ucraina per chiedere la pace? Non è sentita?
Sono i cattolici latini, rappresentano un milione di persone: l’idea è di mantenersi entro un respiro cattolico universale, invitando movimenti cattolici europei, ma in Ucraina non ha una grande eco. La visibilità cattolica dipende solo dalle uscite del Papa, se Francesco non ne parla non lo farà nessuno.
(Paolo Rossetti)
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