La nostra agenda non cambia, ha fatto sapere Confindustria al nuovo governo che si apprestava a giurare nelle mani del presidente Mattarella. E le aspettative degli industriali italiani – condivise con almeno altre quaranta organizzazioni imprenditoriali e sindacali – sono ben note al premier Conte, che non avrà difficoltà a travasare nella versione 2 le informazioni raccolte nella versione 1 della sua esperienza da primo ministro.
Cinque incontri sul finire dell’idillio giallo-verde – due al Viminale e tre a Palazzo Chigi – dovrebbero ben servire da promemoria al presidente del Consiglio uscente ed entrante, che non avrà difficoltà a fare tesoro dei suggerimenti ricevuti dai rappresentanti dell’Italia che lavora e produce. Da chi, cioè, contribuisce in maniera determinante a realizzare quel Pil al cui andamento le sorti del Paese sono così intimamente legate.
Ricapitoliamo l’essenziale per comodità: taglio del cuneo fiscale a vantaggio dei lavoratori perché possa aumentare il loro potere d’acquisto; ripresa degli investimenti pubblici e privati e apertura di tutti i cantieri come misura per modernizzare il Paese e far ripartire l’occupazione; detassazione dei premi di produzione per avviare lo scambio virtuoso tra salari e produttività; avvio di un grande piano d’inclusione dei giovani nel mondo del lavoro.
Nonostante nei 26 punti del programma preliminare messo insieme da 5 Stelle e democratici per tenere insieme il loro sodalizio il riferimento all’impresa sia apparso molto timido (per non dire quasi inesistente), le dichiarazioni e le intenzioni mostrate subito dopo anche con la scelta dei ministri – emblematica la rivoluzione avvenuta nel campo delle infrastrutture – fanno ben sperare. L’impressione è che il muro dei pregiudizi sia caduto.
Perfino Di Maio, nella sua nuova veste di ministro degli Esteri, si è affrettato a dire che vorrà utilizzare la rete diplomatica per favorire una maggiore penetrazione internazionale del sistema imprenditoriale italiano. Una presa di posizione non scontata e che dimostra in quale stato avanzato sia la trasformazione della forza politica che più di ogni altra era intrisa di cultura anti-industriale, sentimenti pauperistici, vocazione alla decrescita.
Dunque il quadro muta più dei colori. Da soggetto anti-sistema quello a 5 Stelle si appresta a diventare un riferimento centrista – una forza tranquilla si potrebbe dire – superando nei fatti il furore adolescenziale e confermando una volta di più che in Italia si nasce incendiari e si muore democristiani. Resistono naturalmente incrostazioni della prima ora, ma più legate a singole persone che al sistema complessivo dei valori che si vanno consolidando.
La posta in gioco è molto alta. L’acrobazia parlamentare resa possibile dal nostro ordinamento ha infatti messo in minoranza il partito con più consensi (la Lega) e in maggioranza quello ripetutamente battuto alle elezioni (il Pd) alleato con il calante movimento pentastellato. Il tutto in nome di una tardivamente ritrovata responsabilità per il Paese, mentre resta alto il sospetto che a condizionare giravolta e cambio di coppia sia l’attaccamento alle poltrone.
Comunque sia, il nuovo esecutivo non potrà beneficiare dell’effetto Dr Jekyll e Mr Hyde che ha tanto caratterizzato il precedente. Non sarà più possibile giocare alla maggioranza e all’opposizione all’interno dello stesso governo, perché un’opposizione vera e agguerrita adesso c’è ed è vogliosa di prendersi la rivincita su ciò che giudica una congiura di palazzo. Salvini non farà sconti a nessuno ed è pronto a sfruttare ogni ritardo, ogni errore, ogni incertezza, per riprendersi la scena politica che per tanti mesi è stata sua.