Edoardo Garrone nelle more del convegno della Piccola Industria di Confindustria a Genova, in diverse riunioni tra venerdì e sabato, ha fatto sapere ai suoi amici più stretti che non correrà per la presidenza di viale dell’Astronomia. Una scelta in fondo analoga a quella di un altro esponente di nota famiglia imprenditoriale, Matteo Zoppas, che un mese fa si è dimesso da presidente di Confindustria Veneto per dedicarsi alla sua azienda. Restano dunque in corsa Carlo Bonomi, Emanuele Orsini e Giuseppe Pasini. Si presume che anche Licia Mattioli, attuale vicepresidente, possa essere della partita ora che le sue chances per la presidenza della Compagnia San Paolo appaiono meno forti di qualche mese fa.
Garrone, attuale presidente del Sole 24 Ore e già presidente nei primi anni Duemila dei Giovani imprenditori, probabilmente ha deluso chi premeva per la sua candidatura, anzi la riteneva addirittura una sorta di asso nella manica. Ma la sua rinuncia segnala anche che la cavalcata per la successione di Boccia non è un pranzo di gala, soprattutto perché il compito da affrontare per chi sarà eletto non è affatto facile, in una situazione estremamente difficile per il Paese e per la stessa Confindustria. Ecco i motivi principali di tale consapevolezza, emersi da un mini sondaggio che abbiamo svolto nell’ultima settimana sentendo un campione ristretto ma rappresentativo di imprenditori:
– La maggioranza di governo continua ad essere, nei fatti, incapace di far ripartire l’economia ed è ormai acclarato che il Pd non riesce a contrastare la deriva assistenzialista e antindustriale dei grillini; le crisi industriali con in cima il gravissimo problema dell’ex Ilva si moltiplicano nell’impotenza dell’esecutivo, mentre il diluvio di tasse che di fatto equivale al mancato aumento dell’Iva indispettisce ancora di più i contribuenti, che si ritengono più vessati di prima e anche più vessati rispetto all’Iva che si sarebbe spalmata in modo più uniforme sui beni e servizi che si consumano.
– Confindustria non è stata in grado di far cambiare strada all’esecutivo e alla politica, nonostante gli sforzi dell’attuale squadra di vertice, ma per motivi che una volta si definivano strutturali, il primo dei quali è che gli industriali sono divisi e frammentati perché i pochi grandi giocano in proprio e trattano direttamente con la politica a protezione delle proprie partite industriali e finanziarie, con la conseguenza che la rappresentanza degli imprenditori non riesce a incidere. Emblematico, per fare solo un esempio, il caso di Progetto Italia, cioè l’intervento di Salini-Impregilo e della Cdp dopo il fallimento Astaldi per creare il più importante polo dei grandi lavori e dell’ingegneria: Confindustria, dopo molte incertezze, si schiera a favore. Pochi minuti dopo, un comunicato dell’Ance, l’associazione dei costruttori, un comparto storico di Confindustria, esprime sconcerto per l’appoggio a Progetto Italia e rinnova tutte le sue critiche.
– Carlo Bonomi ha provato sulla propria pelle, anche se tuttora fatica a rendersene conto, che non serve a nulla dire ai politici “parlate con me che rappresento l’industria vera, quella milanese”. Quelli qualche volta ci hanno parlato pure, ma non è cambiato nulla se non aggiungere la disintermediazione interna alla disintermediazione esterna. Così come fatica ad accorgersi che non serve alzare l’asticella delle richieste per sembrare più muscolare, tipo i 14 miliardi di cuneo fiscale richiesti a fine ottobre durante l’assemblea di Assolombarda alla Scala di fronte a un silente e infuriato Sergio Mattarella. Eppure, anche sabato scorso in un’intervista a Repubblica Bonomi ha ripetuto lo stesso giochino, rammaricandosi persino del fatto che aveva già detto le stesse cose un mese fa e nessuno le aveva accolte. Gli psicologi sanno meglio di noi come definire casi del genere.
– Allo stesso modo, non serve a nulla ipotizzare di sostituire la struttura burocratica romana con quella di Assolombarda. E nemmeno promettere o minacciare, come incredibilmente fa Bonomi nei colloqui riservati, che sarà lui nel primo anno il vero direttore generale di Confindustria. Possibile, hanno commentato in molti dopo averlo ascoltato, che non capisca che a Confindustria serve un presidente che nel prossimo quadriennio cambi quello che nell’ultimo decennio, per tanti motivi, è diventato obsoleto. Non certo un facente funzione di direttore generale, ma un presidente con un programma chiarissimo di poche cose da fare: riportare i grandi dentro; reimpostare radicalmente i rapporti con le forze politiche magari organizzando, se necessario, una dura traversata del deserto; rinnovare la struttura a servizio di un progetto di cambiamento radicale, non per scrivere dossier e relazioni che chiedono la luna e non ottengono nulla; valorizzare il ruolo delle Federazioni verticali, per propria natura più vicine alle imprese del proprio settore di quanto possa mai esserlo Confindustria; riportare il Sole 24 Ore a poter esprimere opinioni, e battaglie, che anticipino i sentimenti di un Paese sfibrato economicamente e moralmente.
– Perché, è questa l’opinione più condivisa nel nostro mini-sondaggio, gli imprenditori stanno facendo sforzi inauditi per tenere a galla le proprie aziende e garantire il posto di lavoro ai propri collaboratori e dipendenti mentre nel Paese cresce ogni giorno di più la mentalità antindustriale (cose denunciate con forza dall’attuale presidente, Vincenzo Boccia): conosciamo le colpe dei grillini, ci hanno detto i più, ma è l’intero approccio della rappresentanza che va ripensato e reimpostato, mettendo a regime l’esistente e provando strade nuove. Altrimenti, è la conclusione, preferiamo risparmiare sulle quote associative.
– Un altro dei punti emersi, soprattutto in Veneto, in Emilia e in Piemonte, è questo: non ne possiamo più del “modello Milano” che viene ormai burocraticamente riproposto in tutte le salse, mentre l’Emilia e parte del Veneto continuano a macinare record nell’innovazione e nell’export e, in realtà, tutto il Paese vede convivere eccellenze e imprese in grave crisi. E poi, ci hanno fatto notare in molti, il modello Milano è il Salone del Mobile e gli imprenditori che lo animano, oppure la più grande Fiera mondiale delle moto, piuttosto che la burocrazia di via Pantano, sede di Assolombarda?
Se questi sono i sentimenti reali che agitano giustamente gli imprenditori, la corsa non è affatto scontata e arriverà al traguardo chi meglio sa non solo rappresentarli, ma incanalarli in un percorso realistico di rappresentanza che sappia ritrovare tutto il suo peso specifico. Come si suol dire, nell’interesse del Paese. Questa volta è più vero che nel passato.