Se son rose, fioriranno: 187 aventi diritto, 173 presenti, 147 voti. Indicato dal Consiglio generale alla presidenza di Confindustria (giovedì 23 maggio l’assemblea privata per l’effettivo insediamento e il 29 quella pubblica per la relazione d’inizio mandato), Emanuele Orsini ha tutte le carte in regola per svolgere al meglio un compito complesso e delicato come rimettere in sesto la più rappresentativa delle organizzazioni imprenditoriali del Paese.



Classe 1973, attivo nei campi del legno e dell’alimentare, figlio di una terra generosa come l’Emilia, Orsini deve questa possibilità al passo di lato compiuto all’ultimo momento dall’altro candidato selezionato dai probiviri per la finalissima. Edoardo Garrone, presidente della Erg e del Sole 24 Ore, già numero uno dei Giovani di viale dell’Astronomia, due volte vicepresidente della confederazione con Emma Marcegaglia e Luca Cordero di Montezemolo, ha sparigliato.



In una lunga lettera espone le ragioni di una decisione tanto sofferta quanto meditata. Improvvisa nel suo manifestarsi, ma evidentemente maturata nel corso di una campagna elettorale non priva di colpi bassi e potenzialmente foriera di un esito che avrebbe facilmente smentito le buone intenzioni dei contendenti. A che cosa sarebbe valsa una vittoria ai punti, di stretta misura, coltivata all’interno di un contesto ostile e irto di ostacoli?

Se l’obiettivo supremo è il bene di Confindustria, quello che serve è un condottiero con forte legittimazione, frutto una grande convergenza che lo liberi dal ricatto delle frange più estreme e gli dia mano libera per fare le cose giuste con la squadra giusta. Agire senza tributi da pagare è la condizione minima per non sbagliare. E chi ha a cuore le sorti dell’organizzazione che tanto peso e prestigio ha avuto nella storia del Paese non può ignorarlo.



Dunque, Garrone ha compiuto il bel gesto. Si è fatto da parte non senza però caricare di responsabilità il contendente Orsini al quale adesso vanno gli onori e gli oneri di una vera e propria ricostruzione materiale e morale del sodalizio. Certo, la gran parte degli associati e dei grandi elettori saranno stati spiazzati da una conclusione che sembrava impossibile. E il tempo dirà se chi l’ha provocata ha avuto lo sguardo più lungo degli altri.

Una cosa si può dire fin da adesso. Gozzi, l’altro sfidante, è stato decisivo nel rendere numericamente inattaccabile la candidatura di Orsini, facendo di fatto prevalere la “linea manifattura”. E Garrone ha riconosciuto in Orsini le qualità necessarie per realizzare l’opera alla quale è chiamato. Se non l’avesse creduto è molto probabile che non avrebbe lasciato il terreno di gioco scegliendo di portare la sfida fino alle estreme conseguenze. D’altra parte, il rispetto reciproco non è mai venuto a mancare e il veleno sparso in questa tornata non ha riguardato i due che si sono ben guardati dall’offendersi.

Da adesso cambiano equilibri e prospettive. Chi prevedeva un duello all’ultimo sangue in Confindustria è stato smentito e così pure chi immaginava (pregustava?) dispetti, rivalse, vendette. Niente di tutto questo s’intravede oggi nel futuro di Confindustria. Che di partite da giocare ne ha tante davanti e tutte importanti se davvero vuole tornare a essere quel ponte tra gli interessi delle imprese e quelli del Paese che rappresenta la sua forza morale.

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