Cravatta azzurra, camicia bianca, giacca bleu. Quando raggiunge i giornalisti che lo aspettano nell’ampia sala Pininfarina Emanuele Orsini è Presidente di Confindustria da più di ore avendo incassato la quasi unanimità dei consensi in assemblea. D’altra parte, dopo una campagna elettorale dura e affollata è arrivato da solo al traguardo del Consiglio generale che lo ha designato il 4 aprile.



Con il fiato spezzato e la voce di chi negli ultimi giorni ha molto parlato annuncia che non ha molto tempo da dedicare alla conferenza. Poi si fa prendere dalle circostanze e resta al tavolo più a lungo del previsto dedicandosi alle domande che riceve dopo aver riassunto il suo programma. Che poggia su tre pilastri che reggono l’intera impalcatura: dialogo, identità e unità.



Orsini sa bene che deve ricucire il rapporto con le associazioni territoriali e le federazioni; non gli sfugge che adesso governa su 151mila imprese e 5 milioni di lavoratori che devono sentirsi tutte e tutti appartenenti allo stesso sistema; conosce per averla provata sulla pelle l’asprezza del confronto per conquistare il vertice e promette di voler smussare ogni asperità.

Per riuscirci ha costruito una squadra larga fatta di vicepresidenti, delegati e advisor che rappresentano un po’ tutte le anime dell’organizzazione e che bisogna far muovere nella stessa direzione e in modo coordinato. Con il loro aiuto si affronteranno tutti i temi dell’agenda e si farà il punto ogni tre mesi per verificare gli avanzamenti compiuti e le criticità.



Nel merito il neopresidente vorrebbe contribuire a realizzare una politica industriale europea che metta al centro delle sue preoccupazioni la crescita delle imprese. Evitando, quindi, pericolose fughe in avanti su regolamentazioni in teoria desiderabili, ma nella pratica penalizzanti per l’economia e appellandosi al criterio guida della neutralità tecnologica.

Da Stellantis ci si aspetta che mantenga fede alla promessa di costruire in Italia un milione di automobili l’anno, dal Governo che si proceda lungo la strada che porta al nucleare pulito per questioni di sicurezza nazionale e competitività (la nostra bolletta energetica si mantiene troppo alta), dalla magistratura che sia finalmente garantita la piena certezza del diritto.

Per quanto riguarda le questioni intorno alle quali dibatte il Paese, non è il tempo di attuare l’autonomia differenziata ma di accelerare sulla ripresa del Mezzogiorno con infrastrutture adeguate, è anacronistico attaccare il Jobs Act quando sono i giovani oggi a scegliere in quale azienda andare, occorre superare il calo demografico affidandosi all’immigrazione controllata.

I bassi salari si superano con l’aumento della produttività, il taglio del cuneo fiscale va difeso anche a costo di rinunciare ad altre forme di agevolazione (vedi tax expenditures), va potenziata la mobilità sia per consentire un più facile spostamento delle persone tra le città che per far viaggiare al meglio le nostre merci, bisogna pensare a case a buon mercato per i giovani.

Tra gli argomenti spinosi, sì al Ponte sullo Stretto a patto che ci si siano le infrastrutture per poterci arrivare con la comodità dovuta, accordo con le Ferrovie per far viaggiare più velocemente i treni al Sud, dialogo con l’Esecutivo per lo smaltimento dolce della sbornia da Superbonus edilizi per non danneggiare aziende e cittadini e provocare più danni di quanti se ne vogliano evitare.

In generale tutte posizioni ispirate al buon senso. Nessuna rivoluzione copernicana, ma piccoli e grandi passi lungo percorsi praticabili attraverso proposte che mostrino consapevolezza della complessità del momento e della delicatezza del bilancio pubblico. Per questo, saranno preferite le proposte di riforma a costo zero dove la buona volontà vale più della disponibilità di portafoglio.

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