È uno dei fenomeni celesti più carico di suggestioni e più raccontato fin dall’antichità: una congiunzione planetaria, come quella che sta avvenendo in questi giorni tra Giove e Saturno e che toccherà il suo massimo lunedì al crepuscolo, non può non colpire chiunque la osservi in quanto rappresenta una di quelle “coincidenze” che la natura a volte ci offre e che immediatamente assumono il carattere di straordinarietà e fanno volare la fantasia.
In effetti, se si pensa ai puri dati numerici che tracciano l’identikit dei due pianeti e alle proporzioni che regolano il loro moto nell’immenso spazio occupato dal Sistema Solare, la loro sovrapposizione è un fatto sorprendente: Giove viaggia a una distanza media dal Sole pari a 5 volte quella della Terra e percorre i quasi 5 miliardi di chilometri della sua orbita in circa 12 anni; Saturno si muove, con i suoi anelli e col suo corteo di satelliti, su un’orbita più lontana, a una distanza media di 650 milioni di chilometri da Giove e completa il suo tour intorno al Sole in circa 30 anni. Dovrebbero seguire due strade parallele e indipendenti; eppure, visti dalla Terra, sembrano compiere insieme una danza particolare, allontanandosi e avvicinandosi fino a determinare, in precisi momenti, un effetto prospettico che ci li mostra sovrapposti come se fossero un unico corpo celeste molto luminoso.
Il fenomeno si è verificato più volte nei secoli, atteso e calcolato dagli astronomi ma segnalato soprattutto dagli astrologi, antichi e moderni, che hanno voluto interpretarlo come evento eccezionale e collegarlo alle vicende storiche come segno premonitore di grandi eventi e più spesso di sciagure e catastrofi. Il più celebre riferimento di questo tipo si trova nei Promessi sposi, dove Don Ferrante collega esplicitamente “quella fatale congiunzione di Saturno con Giove” alla peste del 1630. I calcoli astronomici però non autorizzano nessuna speculazione in tal senso: il fenomeno della congiunzione planetaria è perfettamente misurabile con gli strumenti teorici della meccanica celeste ed è prevedibile nei suoi luoghi e nei suoi tempi.
Nel caso dei nostri due pianeti giganti, la combinazione dei dati relativi alle loro orbite e alle loro velocità orbitali fa sì che, misurata dalla Terra, ogni anno la loro distanza aumenti di una quantità che diventa pari a un’orbita completa in un ventennio: ogni 20 anni quindi Giove doppia Saturno, un po’ come può fare il vincitore dei 10mila metri con l’ultimo del gruppo che sta sulla corsia esterna su una pista di atletica. Questo rendez-vous ventennale, denominato “Grande Congiunzione”, avviene con diversi gradi di vicinanza tra i due pianeti e solo poche volte la vicinanza è così stretta da apparire come una vera e propria sovrapposizione: è il caso dell’evento di lunedì sera, quando i due pianeti si vedranno sotto un angolo di un decimo di grado. Per avere un’idea di cosa significhi sovrapposizione, si può fare un paragone: Giove e Saturno al crepuscolo del 21 dicembre appariranno più vicini di quanto non appaiano, al centro della coda dell’Orsa Maggiore, le stelle Mizar e Alcor che la maggior parte di noi vede come un’unica stella. Nella precedente Grande Congiunzione, avvenuta il 28 maggio 2000, la distanza era poco più di 1 grado e nella prossima, il 31 ottobre 2040, sarà 1 grado e 14 primi. Per avere una congiunzione ravvicinata come quella di lunedì bisognerà aspettare il 15 marzo 2080.
Ma ancor più interessante è risalire indietro nel tempo alla ricerca di congiunzioni simili; anche perché qui si intrecciano altri motivi di grande interesse per un simile evento. Per trovare una congiunzione di un decimo di grado, quindi in pratica una coincidenza, dobbiamo risalire al 15 dicembre 1623; ma abbiamo il vantaggio di incontrare un commentatore d’eccezione: è il grande Giovanni Keplero che all’evento dedicò un pamphlet dal titolo Discorso sulla grande congiunzione di Saturno e Giove nel segno del Leone. Allora Keplero viveva a Praga, dove dirigeva l’Osservatorio astronomico. Forse non aveva osservato personalmente il fenomeno – peraltro molto basso sull’orizzonte, come sarà anche lunedì sera – e forse non era riuscito a utilizzare il cannocchiale che Galileo aveva messo a punto 13 anni prima; ma aveva sufficienti elementi teorici per descrivere quanto stava accadendo nel cielo e aveva a disposizione il poderoso archivio di dati osservativi raccolti dal danese Tycho Brahe, al quale era subentrato nella carica di matematico imperiale alla corte di Rodolfo II.
Non era la prima volta che Keplero si occupava della Grande Congiunzione e proprio sull’osservazione della precedente, quella del 1604, si innesta un’altra questione ancor più intrigante e che ritorna d’attualità in vista dell’evento di lunedì. È la questione dell’identità della Stella seguita dai Magi per arrivare alla grotta di Gesù. La notte dopo la congiunzione del 1604 era apparsa una stella “nova” molto luminosa che Keplero aveva, erroneamente, considerato come l’esito della congiunzione planetaria (oggi sappiamo che si trattava di un altro fenomeno, di una supernova esplosa in un angolo remoto della galassia a 20mila anni luce dal Sole). La lettura di un libro appena pubblicato dal polacco Laurentius Suslyga che retrodatava di qualche anno la nascita di Gesù, convinse lo scienziato a considerare l’abbinamento congiunzione-supernova come la vera Stella di Betlemme e a spiegarlo in un altro libretto De vero Jesu Christi Mediatoris nostri natali anno, pubblicato nel 1606: in effetti tra il 7 e il 6 a.C. si ha documentazione di eventi del genere che dovevano significare grandi cose per chi, come i Magi, era abituato a leggere nei cieli i segni delle vicende umane.
Da allora è proseguito il dibattito sulla data precisa della nascita di Cristo e sulla natura di quello che nel Vangelo di Matteo è l’astron (in greco) visto dai Magi. Alle ipotesi della congiunzione Giove-Saturno avvenuta nel 7 a.C. – nella quale sembra si sia intromesso anche Marte a rendere più vivace l’evento – se ne devono aggiungere diverse altre: come quella suggerita dall’astronomo Michael Molnar che parla della cosiddetta “levata eliaca”, cioè una congiunzione di più pianeti che sorgono con il Sole, verificatasi nell’anno 6 a.C. nella costellazione dell’Ariete e che per gli studiosi del tempo preannunciava la nascita di un re.
Bisognerà allora lasciare aperto l’interrogativo su quale meccanismo astronomico sia più plausibile. L’ipotesi sempre meno accreditata è quella della cometa e ancor meno della cometa di Halley, con buona pace di Giotto che l’ha immortalata nella Cappella degli Scrovegni: i passaggi periodici della Halley sono stati ricostruiti con esattezza e quello più vicino all’epoca narrata nei Vangeli è del 12 a.C.
Nel frattempo conviene raccogliere l’invito di padre Consolmagno, Direttore della Specola Vaticana, che tempo fa, trattando questo argomento su L’Osservatore Romano, scriveva: “Invece di discutere su quale congiunzione funzioni meglio, poniamo una domanda diversa: perché è tanto importante? Non lo intendiamo in maniera impertinente. È interessante osservare che cosa esattamente in questa storia ha tanto affascinato numerose generazioni di astronomi e di appassionati. Forse in parte si tratta della speranza che la scienza possa ‘dimostrare’ che la Bibbia dice il vero; si tratta di una falsa speranza, poiché, parlando da scienziato, io stesso so quanto queste prove possano essere esili (né mi fiderei di una qualsiasi religione per la sola ragione che la scienza l’ha ‘dimostrata’). Ma in parte sicuramente dev’essere per il nesso tra la gloria delle stelle di notte e la gloria del Salvatore in mezzo a noi. È questo, ne sono sicuro, il collegamento che Matteo cercava di stabilire”.