“Cosa vogliamo? Tutto, cosa diciamo? Basta”. La lettura della relazione del Segretario generale della Cgil al Congresso nazionale mi ha ricordato questo vecchio slogan massimalista.
Il testo con cui Landini ha aperto i lavori congressuali ha toccato tutti i temi del momento politico e ha candidato il suo sindacato a essere protagonista nel proporre”nuovi e rivoluzionari modelli sociali, industriali ed organizzativi.”
La lunga relazione ha aperto tutti i capitoli delle rivendicazioni che il mondo sindacale porta avanti e ha invitato Cisl e Uil a intraprendere assieme una mobilitazione fra tutti i lavoratori per poi arrivare anche a uno sciopero generale per affrontare il confronto con il Governo da posizioni di forza. Su pensioni, fisco, sanità, salari, rinnovo dei contratti, politiche ambientali e precarietà si tratta di definire una piattaforma onnicomprensiva anche se le posizioni dei tre sindacati, nonostante gli interventi dei segretari di Cisl e Uil che hanno dato risposte di apertura per iniziative comuni, sono distanti su molti aspetti per quanto riguarda le proposte da avanzare sui diversi temi.
Il percorso disegnato dalla relazione ha definito il campo di schieramento della Cgil nell’ambito dei punti di riferimento della sinistra di questo periodo. Antifascismo, difesa della democrazia, pacifismo e ambientalismo sono i punti di riferimento. Per questo no alla proposta di autonomia differenziata proposta dal Governo, no anche alla legge delega sul fisco e soprattutto la richiesta che sia riconosciuto al sindacato un ruolo privilegiato di confronto sulle riforme che toccano i problemi di fondo del Paese.
Fissati i grandi valori di riferimento il tema del lavoro è stato affrontato sotto molti aspetti per indicare come sia degradato il tenore dei diritti e delle tutele che riguardano i lavoratori. La fragilità del nostro Paese ha significato un ampliamento delle differenze sociali, sono aumentati tutti gli indicatori della precarietà del lavoro e di conseguenza si è registrata una crescita delle povertà.
La questione salariale richiede una decisa svolta nella distribuzione dei redditi sia con strumenti fiscali (taglio del cuneo), sia con il rinnovo di tutti i contratti ancora fermi.
Per dare un segnale di ritorno della centralità del lavoro si ritiene indispensabile mettere in tutte le piattaforme la diminuzione a 4 dei giorni lavorativi a parità di salario.
Indubbiamente l’elenco dei temi che sono stati sollevati sono tutti evidenti e sono anche alla base delle discussioni sulle politiche economiche da seguire per aprire una nuova fase di sviluppo. Nella tradizione sindacale italiana l’individuazione di tanti elementi di difficoltà nella vita dei lavoratori e di fronte a grandi cambiamenti nel sistema economico avrebbe comportato un programma di proposte che avrebbe avuto al centro la domanda su cosa poteva fare il sindicato per promuovere una nuova fase di crescita delle forze produttive.
La parte, però, positiva della relazione è invece un elenco di rivendicazioni possibili più che l’indicazione di possibili soluzioni. Nonostante la sottolineatura della debolezza degli strumenti a disposizione delle politiche pubbliche dovuta alla situazione di forte indebitamento del nostro Paese si propone di rivedere la flessibilità in uscita dell’età pensionabile, si ripropone il Reddito di cittadinanza così com’è in risposta alla povertà e si propone di estendere l’obbligo scolastico ai 18 anni con la gratuità dei percorsi scolastici e prescolastici pubblici a partire dai nidi. Tutte proposte che hanno senso se inserite in un ragionamento di riforma complessiva della spesa del Paese indicando dove recuperare le risorse. Soprattutto indicando un nuovo metodo che sappia valutare l’efficacia delle soluzioni indicate per non ripetere l’esperienza del Rdc che, nato per combattere la povertà, ha comportato una grande spesa e insieme è cresciuto il numero di famiglie povere senza assistenza.
Per quanto riguarda i temi centrali del lavoro brillano però alcune assenze. Dovendo dipingere un mondo dove si estende solo il lavoro precario si perde di vista la realtà. Il fenomeno del mismatching non trova spazio, la flessibilità richiesta dalla nuova offerta di lavoro giovanile non compare, gli effetti dell’inverno demografico che incideranno su contratti, politiche migratorie, welfare e mercato del lavoro non trovano spazio. La formazione viene richiamata per essere inserita obbligatoriamente nell’orario di lavoro e rivolta agli occupati. Le politiche attive e la formazione professionale vengono messe in un angolo mentre stanno diventando centrali proprio per rispondere meglio alla disoccupazione giovanile. È una lente ideologica che porta così a vedere il lavoro come se dovesse uniformarsi allo schema del lavoro industriale dei decenni passati. Si fa sociologia sulle nuove figure di lavoratori della gig economy, ma poi si propone di uniformare in un unico contratto di lavoro tutte le realtà dei vari rapporti di lavoro esistenti. Cercare di dare a tutti i lavoratori eguaglianza di diritti e di tutele non è ridurre i rapporti di lavoro a un’unica forma contrattuale, ma anzi si tratta di dare contratti che, pur nella diversità, assicurino a tutti tutele uguali.
Senza comprendere che la nuova flessibilità del lavoro va governata diventa difficile capire l’importanza degli strumenti di sostegno al lavoro che devono funzionare a supporto delle transizioni che sempre più caratterizzano la vita lavorativa delle persone.
Le proposte avanzate dalla relazione introduttiva di Landini troveranno poi nel confronto con la politica e con le forze sociali altri motivi di dibattito. L’impressione ricavata da un primo impatto sono di una volontà di lanciare forti rivendicazioni per affrontare un periodo in cui, dato il confronto con un Governo politicamente distante, non è richiesta la responsabilità di proporre piattaforme realizzabili.
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