È cominciato il ventesimo congresso del Partito comunista cinese, aperto da un discorso del segretario uscente Xi Jinping come da copione. Segretario che, è ormai scontato, verrà rieletto al terzo incarico consecutivo, cosa mai successa prima, e quindi sarà anche presidente della repubblica per la terza volta. È stato proprio Xi a cambiare la Costituzione, abolendo il limite di due mandati alla carica di capo del partito e dello Stato, di fatto inaugurando un’autorità dinastica di cui solo il fondatore della Repubblica popolare cinese, Mao Tze-tung, aveva potuto godere.



“Una svolta autoritaria senza precedenti” ci ha detto in questa intervista Massimo Introvigne, sociologo, fondatore del Cesnur e del sito Bitter Winter, “ma che di fatto era già cominciata con la politica di repressione quando è scoppiata la pandemia. E proprio questo aspetto rappresenta un importante elemento critico per il segretario, in quanto diverse sono state negli ultimi tempi le manifestazioni di protesta contro la politica del Covid zero, che di fatto significa chiusura in quarantena per città intere. Xi ha definito questa politica un successo, ma non è assolutamente vero, perché la gente muore di Covid e non solo di Covid”.



Il primo argomento toccato da Xi Jinping nel suo discorso al XX Congresso del Pcc, come previsto, è stato quello del ritorno di Taiwan alla madrepatria, affermando tra l’altro che si cercherà di realizzarlo in modo pacifico, anche se non è esclusa l’opzione dell’uso della forza. Niente di nuovo?

Sia i commentatori di Taiwan che quelli americani non hanno espresso alcuna preoccupazione davanti a queste parole, perché a partire da Mao lo hanno sempre detto tutti i leader cinesi. Non c’è nessuna differenza tra quello che lui stesso e gli altri leader cinesi hanno detto negli ultimi 70 anni. È la linea ufficiale del Pcc dalla fondazione della Repubblica popolare cinese nei confronti di Taiwan.



Invece non ha mai nominato né Ucraina né Russia. Cosa significa questo?

Questo è un aspetto buono e negativo allo stesso tempo, perché non ha espresso sostegno alla Russia, ma neppure condanna. In questo momento Xi non vuole rompere con la Russia, Mosca e Pechino si sentono insieme sulla stessa barca nei confronti dell’Occidente, ma più si prolunga la guerra, più l’economia cinese, e pure la politica internazionale, che tra l’altro aveva nell’Ucraina uno dei Paesi occidentali dove Pechino aveva investito maggiormente, si complicano e vengono danneggiate. Se la guerra finisse, Xi sarebbe molto contento.

Xi Jinping non ha mai nominato neanche gli Stati Uniti…

Però gli Usa sono stati al centro di numerosi riferimenti. Il New York Times ha notato che ha nominato l’espressione “sicurezza nazionale” 26 volte, contro le 18 in cui era stata citata nel 2017, quando tenne un discorso più lungo, e contro le 4 in cui era comparsa nelle parole del suo predecessore Hu Jintao nel 2012.

Cosa significa?

Che davanti alle possibili minacce di paesi come gli Stati Uniti, la sicurezza va perseguita sia all’interno, con un ulteriore rafforzamento dei metodi di controllo (reti di telecamere, intelligenza artificiale, controllo del web…), sia all’esterno contro quei Paesi che vogliono “bullizzare” la Cina.

Di fatto, al momento, l’unico vero problema interno che ha la Cina è dovuto al malcontento popolare per la politica del Covid zero, è così?

Infatti ci attendevamo ne parlasse, ma non con il vigore che ha usato sostenendo che “non abbiamo sbagliato nulla sul Covid”. Lo ha detto in risposta alle critiche che ci sono in Cina, usando un ragionamento demagogico quando ha detto che “a differenza degli occidentali preferiamo avere un rallentamento dell’economia ma salvare delle vite umane”.

Cosa che non è del tutto corretta, vero?

Sì. Infatti la gente muore e muore anche per altre ragioni oltre al Covid. Sul nostro sito abbiamo dato voce a testimonianze dal Tibet e dallo Xinjiang dove la popolazione non etnicamente cinese o non autosufficiente muore perché nessuno porta loro da mangiare a casa o le medicine. Pubblicheremo una testimonianza dal Tibet in cui si racconta come le persone positive al Covid, compresi i loro parenti, i loro vicini e tutti coloro che in qualche modo sono stati in contatto con loro, vengono portati in centri di quarantena, dei quali abbiamo anche delle foto dove si vedono le persone ammassate come topi. Chi non ha il Covid, così se lo prende. Come ci eravamo già detti, per Xi Jinping si tratta di una scelta di tipo ideologico: il partito non può mai sbagliare, per cui la politica Covid zero continuerà a oltranza.

È scontato che Xi riceverà la terza nomina consecutiva a segretario del partito e a presidente della repubblica, una cosa successa solo con Mao. Questo implica la nascita di un autoritarismo di tipo dinastico e per questo sempre più stretto? O esistono gruppi di potere all’interno del partito che gli si oppongono?

All’interno del partito al massimo ci sono degli spifferi che non chiamerei opposizione. Se guardiamo la lista dei candidati al Comitato centrale, notiamo che ne fanno parte solo fedelissimi di Xi. Se c’era qualche oppositore, è stato accusato di corruzione e messo in prigione. Per quanto riguarda l’autoritarismo, c’è già qualche suo fedelissimo che si rivolge a lui con l’espressione usata solo con Mao: Grande Timoniere.

Quindi nessuna possibilità per chi si oppone a Xi Jinping?

Questa spirale di autoritarismo spinto è cominciata con il Covid e continuerà. L’unica possibilità che gli spifferi si trasformino in qualcosa di più serio è che ci sia una crisi economica, ma deve essere davvero imponente, non solo caratterizzata da una mancanza di crescita come succede oggi. Deve essere una vera recessione che impatti sul tenore di vita dei cinesi. Solo così la sua figura di potere potrebbe essere contestata apertamente anche nel partito.

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