Spesso si sostiene, anche solo per velate metafore, che nella musica in fondo non è la qualità ma la forza immediata dei numeri a contare.  Ma c’è qualcosa che è difficile se non impossibile mettere a tacere.  La musica come fatto di vita e di amore.   

Assomiglia a quel qualcosa di stupefacente che si schiude nell’impatto con l’esperienza visiva e sonora di un concerto dei Conqueror.  Nel campo largo settato naturalmente da chi segue la performance in tempo reale è possibile realizzare in pochi e infinitesimali istanti, ciò che è impossibile anche alla migliore equipe multicamera che riprende un concerto.  L’equipe ti fa apprezzare momenti di interazione e fasi centrali e indimenticabili dell’azione personale del singolo musicista.   Lo sguardo personale gettato sul campo largo visivo, fa semplicemente quel lavoro in più per cogliere le sfumature della performance come momento di vita in atto, nel singolo istante e in ognuno di quelli successivi.



Si comprendono dinamiche fino a quel momento segrete che poi – nel ritornare all’esperienza del video concerto su disco – permettono di riapprezzare in pieno ciò che rimane fuori dalla visuale.  Così nella splendida performance di due ore abbondanti tenuta dal gruppo messinese in conclusione del Verona Progfest al Giardino di Lugagnano il 25 maggio scorso, si assiste a quello che si potrebbe chiamare un’alchimia magica e per certi versi misteriosa.



Sulla sinistra del palco la progettualità pulsante e multifasica del batterista Natale Russo e del bassista Enzo Carinci, costruisce scansione dopo scansione il canovaccio ritmico.  Sulla destra la grazia inimitabile della componente femminile rappresentata dalla tastierista/cantante Simona Rigano e dalla sassofonista/flautista Sofia Ferraro, fornisce e alimenta senza sosta la bellezza del suono nei tratti cromatici essenziali e nelle soluzioni che regalano musicalità all’insieme.   Al centro il chitarrista Tino Nastasi aggiunge sensi, colori e le distintive escalation di pathos, quelle strane irruzioni dell’anima e del desiderio che vengono spartite con il tastierismo policromo e la delicata vocalità della Rigano, la qualità cangiante del fraseggio della Ferraro e i rivolgimenti ritmici di Russo.



Ogni fase del concerto restituisce questo unico senso di partecipazione ad un modo di vivere la musica pieno di affezione e, si potrebbe dire, di compassione.  A cominciare dalla riproposizione in apertura, concentrato nei quattro brani chiave, del nuovo album “In Orbita” (sesto album in studio in carriera) dedicato all’esperienza nello spazio, ma prima ancora nel proprio intimo, del cosmonauta russo Jurij Gagarin.  Nello scorrere in sequenza di Fino al limiteVerso un nuovo mondo e Un disegno perfetto si vive e si gusta l’ultima messa a punto, quasi sussurrata, della dimensione pittorica ed intensiva della musica progressive.  Quella che tratta con lungimiranza la bellezza delle forme e dell’esecuzione per servire l’armoniosità del suono e della canzone, superando lo stesso genere di riferimento e continuando l’inseguimento del segreto della grande musica come tema e missione di una vita.

Così Kedr, il brano che nel nuovo disco alza i toni all’insegna di fasi più cosmiche e variegate, si collega idealmente alla elettricità multiforme di Sigurtà, pezzo centrale del precedente Stems.  E quest’ultimo prende le mosse dalla suite Morgana sia come sua naturale evoluzione musicale che come ricerca lirica, come racconta la Rigano nel presentarla “Se con Morgana abbiamo voluto rendere un omaggio in musica a un’antica leggenda del Sud Italia, nel caso di Sigurtà l’ispirazione è stata la bellezza incantevole di questo storico parco del Nord Italia (tra l’altro situato a pochi chilometri dal luogo di svolgimento di questo concerto)”.

Morgana – compendio esemplare di gusto e sensibilità tutte italiane – scorre fluida e avvincente senza lasciare spazio a cali di tensione e giocando sul senso di attesa stimolato dalle continue trovate armoniche e invenzioni melodiche.  Nella sua mezz’ora di durata prende vita un affresco paradigmatico di cantautorato folk, echi rinascimentali, soffici aperture jazz e art rock dei grandi tastieristi songwriter.

Il resto dello show segue le linee del bilanciamento quasi perfetto nel ripasso della produzione, con la sola omissione del pur notevole album “Madame Zelle”.  Si riascoltano tra le altre il delizioso scorrimento melodico-onirico di Maschere di Uomini, l’indole turbolenta e performativa di No Photo, la suadente melodiosità di La strada del Graal e per finire Quartar, prima incisione di sempre e sorta di palestra-biglietto da visita di quello che diventerà il suono Conqueror nel suo sigillo inconfondibile.  Non una questione di puro consenso nelle capricciose vicende della storia ma di talento e di dedizione, i Conqueror incarnano forse uno degli esempi più limpidi di questo far coesistere nella musica una forte dimensione artistica con momenti di salutare e mirata leggerezza.