In tutte le famiglie ci sono delle frasi ricorrenti, dei detti che fin da quando si è ragazzi ci si sente ripetere. A casa mia una delle frasi che con maggior frequenza mi è stata rivolta è la seguente: “C’è modo e modo”. È una frase che mi diceva, e mi dice tuttora, mio padre ogni volta che faccio o dico qualcosa di giusto, ma tralasciando, appunto, il modo.



Ricordo che mi sono scontrato tante volte con lui su questo tema, a volte in punta di fioretto, altre volte con un’ascia in mano, ovviamente sempre metaforicamente parlando. In breve, la mia linea difensiva è sempre stata la seguente: se già è difficile trovare qualcuno che dice la verità, in certi casi conviene accontentarsi del contenuto piuttosto che essere puntigliosi sul modo.



Come spesso accade, però, diventando più grandi le frasi sentite da ragazzi ci rimangono dentro e vengono osservate con occhi diversi. Negli ultimi mesi, visto il lavoro che faccio, non ho potuto utilizzare la formula dello smart working, perciò mi sono sempre recato al mio ufficio per occuparmi di consulenze e formazione One to One sul tema della negoziazione. Dovendomi spostare con frequenza mi sono concesso il piccolo lusso di muovermi sempre in taxi e quindi ogni giorno per due mesi ho fatto lo stesso tragitto: da casa mia a Foro Buonaparte dove è ubicata la sede della società, e viceversa. Ho avuto modo, quindi, di vedere in azione tanti tassisti diversi e di provare sulla mia pelle cosa significa svolgere la stessa attività in modi completamente diversi. 



Alcuni tassisti mi accoglievano in una macchina piena di odore di fumo, perché a causa del freddo avevano deciso di fumare all’interno della vettura, altri tenevano la radio accesa per sentire le notizie che più interessavano loro, nonostante mi sentissero conversare di lavoro al telefono. In alcuni casi, coloro a cui ho gentilmente chiesto se fosse possibile spegnere temporaneamente la radio si sono limitati ad abbassarla. Altri, poi, mi raccontavano con veemenza dei loro problemi e di quanto poco stessero fatturando.

Una parte di essi ha invece lavorato con più attenzione: appena ricevevo una chiamata spegneva la radio in modo tale da non disturbarmi, alcuni mi hanno fatto ridere, raccontando aneddoti che solo un tassista potrebbe sapere, e altri mi hanno commosso esponendo in maniera sincera ma non lamentosa le problematiche dello svolgere un lavoro che non era stato tutelato così tanto dal Governo.

Badate bene che tutti loro in fondo hanno offerto lo stesso servizio e portato a termine la stessa attività: il medesimo tragitto in quella manciata di minuti che mi separa dall’ufficio. Tra tutti questi, però, ve n’è stato uno, che chiameremo Marco, il quale mi ha colpito particolarmente. Quando ha visto che mi sono avvicinato alla sua auto, è sceso e ha avuto la cortesia di aprirmi la portiera della sua Mercedes. L’auto era perfetta ed emanava un profumo gradevole. Mi ha chiesto dove volessi andare e se gradissi o meno la radio. Per la prima volta nella mia vita, mi hanno persino chiesto quale fosse la stazione che preferivo. Nel momento in cui è arrivata una chiamata durante il tragitto, è stato rapidissimo a spegnere la musica e, finita la chiamata, ha saputo coinvolgermi in un dialogo originale. Mentre faceva tutto questo, sceglieva le strade meno battute dal traffico e guidava in modo veloce ma sicuro. Dopo mesi di percorrenza dello stesso tragitto, infatti, anche io avevo capito bene quale fosse il tragitto più strategico da scegliere.

Arrivati a destinazione gli ho fatto la seguente proposta: “Le va se per le prossime tre settimane, ogni volta che avrò necessità di spostarmi, chiedo a lei disponibilità prima di rivolgermi ad altri tassisti? Questo rimarrà un accordo temporaneo e riservato e pagherò ovviamente la stessa cifra di un cliente ordinario”. Visto che in quel periodo si era in pieno lockdown e che gli spostamenti delle persone erano ridotti al minimo, Marco ha accettato contento e commosso. Dopodiché mi ha chiesto: “Perché mi ha fatto questa proposta?” E io scendendo dall’auto ho risposto velocemente: “Perché nel lavoro c’è modo e modo”.

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