Tutte le grandi organizzazioni, per continuare a crescere e ad avere successo, devono riuscire a raggiungere obiettivi sfidanti in contesti complessi. Per obiettivi sfidanti si intende tutti quegli obiettivi ad alta intensità tecnica che richiedono un know-how specifico e verticale; con contesti complessi, invece, si fa riferimento ai contesti nei quali esistono diverse variabili che mutano nel tempo. Come, quindi, già precisato in altre occasioni, è importante creare alleanze relazionali.



Quali sono le dinamiche che stanno alla base delle alleanze relazionali e della collaborazione? Per rispondere a questo interrogativo, cito una riflessione di qualche anno riprendendo le parole di Julio Velasco, famoso allenatore di pallavolo e grande coach e speaker. Lui, a mio avviso giustamente, sostiene che «la collaborazione nelle organizzazioni non deve essere, e non è, un imperativo morale ma un elemento del gioco»; nel caso delle aziende, quindi, sarà un elemento intrinseco alle dinamiche professionali.



Dunque, un imprenditore che vuole veramente raggiungere gli obiettivi più importanti e sfidanti, quelli che danno maggior successo e portano maggior soddisfazione, non può far altro che allearsi con gli altri e non lo fa sulla base di un principio etico perché “è bello collaborare”; lo fa capendo che “è bene collaborare”, è utile collaborare, è vantaggioso, è necessario: in Accademia diremmo “non è negoziabile” per tutti quelli che vogliono raggiungere quell’obiettivo.

Domande strategiche da porre per approfondire questo aspetto sono: come si può collaborare? Come si possono costruire team collaborativi?



A mio avviso, la risposta è incentrata su pochi, semplici punti. Il primo è la condivisione dello scopo, ovvero esplicitare che la collaborazione è un elemento essenziale per raggiungere uno scopo e questo scopo deve essere comunicato ed evidenziato dal leader, che deve identificarlo come uno scopo chiaro, affascinante, realistico e condiviso/condivisibile dalle persone che aderiranno al team che vorrà raggiungerlo.

Il secondo è lo stile relazionale, poiché, essendo la collaborazione impostata su diversi e continui allineamenti tra tutte le persone del team, vi deve essere – evidentemente – uno stile legato alla Comunicazione Strategica che valorizzi l’Io, il Tu e il Contesto; cioè, tutti gli elementi in gioco per poter co-progettare la miglior soluzione possibile di fronte alle avversità che sicuramente si troveranno nel percorso per raggiungere questo scopo.

Il terzo elemento è probabilmente legato a matrici o processi: bisogna identificare e “mettere a matrice” quali sono quei comportamenti, quei valori, quel modus operandi su cui tutte le persone si allineano e su cui sottostanno liberamente considerandoli come i migliori comportamenti per raggiungere lo scopo che ci si è prefissato.

Un ultimo elemento trasversale a questi tre è il continuo check attraverso dei momenti di discussione, confronto e analisi delle performance, magari attraverso l’utilizzo di un facilitatore (soggetto esterno che sia meno invischiato nelle dinamiche quotidiane), per poi ogni volta rianalizzare lo scopo, l’effettivo utilizzo dello stile relazionale e, infine, aggiornare e modificare quelle matrici e quei processi che sono ritenute da tutti utili allo scopo.

Se si iniziasse a parlare in maniera più chiara, quindi, dell’importanza della collaborazione legata agli scopi, senza raccontare la favoletta del “ci si vuole tutti bene o che ci si deve voler tutti bene”, si potrebbe dare più spazio a un approccio manageriale e meno a un approccio infantile e manipolatorio.

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