In cosa consiste una crisi e come si gestisce? È una domanda che tocca ogni singolo individuo, indipendentemente dalla professione che esercita e dal luogo in cui abita. Il Professor Marco Lombardi, Ordinario di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e fondatore del centro di ricerca “ITSTIME”, Italian Team for Security, Terroristic Issues & Managing Emergencies, ha tutta l’esperienza e le competenze per poter rispondere in modo chiaro e approfondito.
L’Italia è un’azienda in crisi adesso?
Siamo certamente un Paese in crisi, ma non con un’accezione mediatica o strettamente politica del termine, bensì con quella scientifica. Il crisis management, la scienza che studia questo fenomeno, ha definito la crisi come il luogo dell’incertezza, quei momenti inevitabili della storia che rendono difficile prevedere il futuro. A questa definizione se ne aggiunge un’altra, quasi opposta, per la quale la crisi non è necessariamente negativa, ma diventa il luogo delle possibilità e delle opportunità: dipende da come la si affronta. Non è infatti l’esito negativo a definire un fenomeno come critico, bensì il suo esito incerto, associato, spesso, alla nostra incapacità di governare la complessità. L’Italia si può definire un Paese in crisi sulla base di questa accezione: siamo consapevoli di essere in un momento di grande incertezza, dal punto di vista politico, sociale e culturale, ma anche in un momento di grandi possibilità: governare la crisi del nostro Paese, così come la nostra, ci dà la possibilità di definire noi oggi, dove potremmo essere domani.
Con quali criteri ci si muove per gestire le crisi?
Essere in uno stato di incertezza vuol dire non saper dominare gli effetti di un evento. Prendiamo le crisi dovute a eventi naturali: abbiamo sperimentato diversi terremoti che hanno rilasciato la medesima energia in parti del mondo, le quali, pur diverse tra loro, avevano la stessa probabilità di venire colpite: i risultati tuttavia sono stati differenti. Interrogandoci su questo aspetto constatiamo che il terremoto non è un evento critico in sé, semplicemente perché raro, ma lo è perché del terremoto non sappiamo controllare gli effetti e ciò dipende, in buona parte, dalle nostre caratteristiche, per esempio infrastrutturali. In pratica, se io conosco gli effetti del terremoto posso creare delle barriere di indifferenza l’evento critico colpisce…. e le case stanno in piedi Perciò domandiamoci: rispetto agli eventi che possono colpire noi, la nostra azienda, il nostro Paese, quali sono le nostre vulnerabilità? Non inseguiamo la prevedibilità della crisi, il terremoto non è prevedibile, ma la conoscenza del “suo funzionamento”: se so come funziona posso modificare le mie caratteristiche di vulnerabilità per contenerne gli effetti.
Che rapporto c’è tra crisi e comunicazione?
La comunicazione è fondamentale. Innanzitutto non possiamo parlare di crisi senza parlare di percezione del rischio e ognuno di noi ha una propria dimensione soggettiva, basata su diversi fattori. L’esperienza, l’informazione, la conoscenza, le relazioni contribuiscono a plasmare questa percezione da cui poi deriva la definizione di evento critico. Se la comunicazione quindi è un asset fondamentale per definire la crisi, diventa anche una strategia fondamentale per governarla. È inoltre fondamentale valutare la crisi “quando le cose vanno bene” facendoci guidare dalla proattività, in contrasto con la reattività che, per definizione, comporta un ritardo. Occorre quindi innanzitutto essere consapevoli che la crisi possa avvenire e in secondo luogo occorre percepire i segnali deboli che la annunciano. La società è ormai reticolare, più che globalizzata, cioè così fittamente interconnessa da permettere di assorbire più facilmente un colpo critico. Occorre però tenere sotto osservazione la dispersione del colpo lungo la rete perché, pur attenuata, può darci un’idea dello scenario futuro.
In previsione della crisi, con quale atteggiamento il manager o il cittadino si deve porre nei confronti degli altri?
Ogni comportamento sicuro nasce da due fattori: consapevolezza e responsabilità. Consapevolezza del fatto che si vive in una società innegabilmente a rischio e responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Poi questi fattori vanno declinati per ogni contesto. Per il CEO significa assumere una forma adeguata di leadership nei confronti del proprio team, che non può essere, per esempio, troppo incentrata su se stesso in quanto la crisi non è gestita da un deus ex machina, si affronta con un team che porta diverse competenze le quali vengono poi guidate dal leader. Mentre per i cittadini, da una parte si dovrebbe sviluppare autocritica, mettendo in discussione la routine, e dall’altra sviluppare consapevolezza di queste nuove competenze di crisi da parte di chi ha responsabilità di governance, sia essa politica o amministrativa. Le istituzioni credono ancora di tutelare i cittadini evitando di parlare dei rischi che si corrono, ma ciò vuol dire solo mantenerli in stato di vulnerabilità.
(Luca Brambilla)