Il settimo e ultimo capitolo del percorso sulla “persuasione neuroscientifica” riguarda il tema dell’apprendimento sociale e della ricerca dell’unicità. Ciascuno di noi apprende in misura sostanziale dal contesto sociale in cui è immerso e questo aspetto porta dei vantaggi tanto quanto degli svantaggi. Entrambi sono da comprendere al meglio per evitare pericolosi bias cognitivi, cioè decisioni prese senza tener conto di tutti i fattori richiesti.



Il vantaggio principale che gli uomini traggono dall’apprendere socialmente le nozioni è quello di poter imparare senza dover affrontare un’esperienza diretta dei pericoli. Molti di noi, per esempio, non si sono mai bruciati volontariamente, eppure sappiamo che il fuoco scotta e che proveremmo dolore avvicinandoci eccessivamente a esso. Reputiamo, giustamente, che il fuoco sia pericoloso perché ci basiamo sulla vasta opinione di coloro che ci hanno preceduto. Negli svantaggi vediamo il risvolto della medaglia, che consiste nel reputare che l’opinione di molti sia migliore di quella di un singolo, e questo solo perché il singolo in oggetto “non ha la maggioranza”.



Un altro aspetto problematico è che i giudizi appresi dal contesto sociale non sono “captati dai radar”, ovvero non sono analizzati particolarmente nel dettaglio, vengono recepiti in modo piuttosto superficiale e quindi vengono scambiati per giudizi personali e originali, quando invece sono semplicemente “copiati” da altri. La fondatezza di questo pericolo è ben emersa da un esperimento che si è svolto al Weizmann Institute of Science, in Israele. Tale esperimento è stato condotto da Micah Edelson, Yadin Dudai e Tali Sharot: dopo aver selezionato 4 persone e averle fatte incontrare in una sala d’attesa, le stesse sono state portate a vedere un filmato di 45 minuti sul tema dell’immigrazione clandestina. Al termine del video ciascuno dei partecipanti è stato sottoposto a un test per valutare il grado di attenzione dimostrato, con risultati piuttosto positivi.



Dopo qualche giorno, tuttavia, i candidati sono stati richiamati e sottoposti una seconda volta al medesimo test. Rispetto alla precedente occasione viene però concesso loro di vedere le risposte date dagli altri partecipanti prima di poter consegnare la propria. Ciò che non sanno è che le apparenti risposte degli altri fornite loro non corrispondono effettivamente a quelle realmente consegnate dagli altri partecipanti, bensì si tratta in alcuni casi di risposte costruite appositamente per l’esperimento. Il risultato? A sorpresa, in più del 70% dei casi le persone hanno adeguato la propria risposta a quelle del gruppo, modificando la scelta (seppur corretta) per cui avevano optato inizialmente. Ciò che è veramente interessante notare è che quando ai singoli partecipanti è stato domandato se avessero corretto la propria risposta nel vedere quelle altrui, hanno tutti quanti negato, sostenendo di non aver mai avuto dubbi sull’opzione scelta.

Come usare al meglio queste informazioni in campo aziendale? Certamente spero che l’esperimento citato inviti a vagliare in maniera più attenta i processi decisionali, soprattutto quelli riguardanti la costruzione di strategie. In fase di co-progettazione occorre infatti avere nel proprio team persone che siano libere di fare domande, di chiedere informazioni e dati per evitare che le decisioni siano semplicemente “umorali”. L’altro elemento da tutelare è complementare al precedente e riguarda la stima del proprio pensiero. Bisogna ricordarsi che in certi casi occorre osare ed esprimere la propria opinione, nonostante sia in contrasto con quella del capo di turno.

Mi capita sempre più spesso di partecipare a riunioni di board aziendali in qualità di osservatore dei processi decisionali. Ovviamente le regole enunciate precedentemente sono integrate nella modalità di svolgimento, poiché permettono a tutti di fare domande e chiedere i dati necessari, tuttavia, a volte il problema non sta nel contesto, bensì nella persona che è frenata e non trova il coraggio di esprimere la propria opinione in quanto pensa che valga meno delle altre, per motivi di età, di genere, di potere, di gerarchia, di anzianità, ecc.

Per incoraggiare queste persone posso dire che quelli citati poc’anzi sono tutti bias e che le aziende hanno bisogno del pensiero di tutte quante queste persone. Inoltre, vorrei rivelare la parte finale dell’esperimento sopracitato. Si è infatti scoperto che l’ultima persona a dover dare la propria risposta si trovava a modificare la propria scelta solo nel momento in cui tutti gli altri avevano già espresso una risposta differente dalla propria. Tuttavia era sufficiente, tra tutte, una sola risposta che concordasse con la propria scelta iniziale per fargli trovare la forza di andare contro la maggioranza e difenderla.

La lezione più importante con cui voglio concludere questo percorso è quella di ricordare che tutti ci influenzano, e che spesso questo accade senza che ce ne accorgiamo, ma che anche noi possiamo influenzare tutti.  Basta avere una ragione abbastanza forte per farlo.