Nel valutare gli impatti della tecnologia sul lavoro è utile introdurre una distinzione tra contesti statici, sostanzialmente mercati maturi in cui vi sono limiti all’ingresso di nuovi “incumbent” e alle scelte dell’utente o cliente, e contesti dinamici, in cui vi siano costantemente nuovi servizi e in cui le persone potranno scegliere fra più fornitori per lo stesso servizio o prodotto.
Nei primi la tecnologia consente un efficientamento nella gestione delle attività, viceversa nei secondi la tecnologia abilita una maggiore scalabilità, generatività (si consideri come viene utilizzato il termine da Mauro Magatti) e variabilità delle attività.
Uno degli impatti più importanti e discussi è naturalmente sulla creazione o erosione dei posti di lavoro. La mia ipotesi è che in contesti dinamici la tecnologia possa consentire una maggiore creazione di posti di lavoro, mentre in contesti statici tende a ridurli.
Un altro impatto importante è invece sulla qualità del lavoro in termini di remunerazione, possibilità di sviluppo del capitale umano e di conciliazione con le esigenze personali. In questo caso gli effetti possono essere diversi a seconda dei contesti e delle scelte che vengono fatte da chi progetta e implementa la tecnologia.
La tecnologia per il lavoro, in particolare quella digitale di cui qui trattiamo, è infatti uno strumento di per sé neutro, i cui utilizzi non sono universali ma sono determinati da scelte e contesti specifici. La scelta fondamentale su cui si basa la sua introduzione è l’idea del ruolo che hanno le persone al lavoro e quindi di come le organizzazioni devono concretamente funzionare.
In particolare, se abbiamo una visione della persona come soggetto portatore di idee, passioni, iniziative e risorse o se invece riteniamo che la persona sia fondamentalmente uno strumento (si veda “Humanocracy” di Hamel e Zanini su questo punto) che le organizzazioni utilizzano per realizzare idee, progetti, iniziative che “altri hanno definito”.
Il contesto esterno dipende invece dal settore in cui l’organizzazione opera e dalle dinamiche competitive presenti. A seconda delle scelte che facciamo e del contesto in cui siamo l’introduzione della tecnologia avrà quindi impatti differenti e un significato diverso.
Saper determinare il contesto in cui si opera e avere chiarezza sull’idea di persona che abbiamo è quindi fondamentale per capire come utilizzare la tecnologia nel modo più corretto. In un contesto dinamico come quello dell’economia digitale con persone giovani e in cerca di autonomia, la tecnologia va utilizzata a mio avviso per potenziare le capacità operative di chi lavora abilitando connessioni e attività dal basso e solo secondariamente per il controllo da parte del vertice aziendale. La tecnologia deve funzionare come un “butta dentro” in modo da intercettare tutte le opportunità e le iniziative potenzialmente utili al proprio business. Non farlo significa semplicemente che queste attività andranno altrove facendo diminuire la produttività del lavoro.
Secondariamente in un contesto dinamico l’organizzazione va pensata come un grande laboratorio di testing in cui le metodologie di lavoro agile siano portate a sistema senza soluzione di continuità tra collaboratori interni ed ecosistema esterno. La tecnologia in questo caso diventa uno strumento per sviluppare visioni, prospettive di significato e di realtà differenti, consentendo di non lasciarle su carta, ma di agevolarne una concreta realizzazione anche con sovrapposizioni e contaminazioni continue.
La realizzazione di queste iniziative diventa a sua volta base per lo sviluppo delle competenze in un circuito che si autoalimenta. Il ruolo della tecnologia in un contesto dinamico è quindi sicuramente raccomandabile e può determinare un fortissimo aumento della produttività senza impatti negativi sulla quantità e qualità del lavoro.
In un contesto statico, il ruolo della tecnologia può essere invece più controverso se non si fanno le scelte giuste. È infatti sempre possibile introdurla a condizione che siano non solo gli azionisti e il management ma tutti i lavoratori a beneficiarne. Anche in un contesto di mercato statico, infatti, è importante che le persone possano mettere a frutto le proprie energie e talenti in modo che l’aumento di produttività possa avvenire senza danneggiare chi lavora.
Può essere utile, per esempio, far ruotare liberamente le persone in questo modo aumentando l’engagement e la capacità della propria organizzazione. Avere più persone “intercambiabili” con competenze spendibili in più aree organizzative è infatti comunque utile anche se non ci sono incentivi così forti alla flessibilità operativa ed economica.
L’effetto di coinvolgimento, innovazione e freschezza alimenta un miglioramento continuo dei processi ed evita una personalizzazione eccessiva delle attività. Questo può avvenire facilmente grazie alle tecnologie per la collaborazione senza determinare probabilmente alcun calo della produttività. La progettazione e implementazione della tecnologia per il lavoro in contesti statici dovrebbe inoltre, oltre che liberare le persone dai lavori più rischiosi e alienanti, sanare gli impatti che una rigidità eccessiva dell’organizzazione può determinare sulla società e sugli individui.
Le organizzazioni statiche, senza un’opportuna gestione, sono infatti scarsamente inclusive nei confronti di donne e giovani, oltre a creare degli effetti di group thinking e di “rigidità cognitiva”. Tendono anche a creare una spirale di dipendenza fra persona e organizzazione che non fa bene al mercato del lavoro nel complesso. Utilizzare le persone come strumenti non è infatti una scelta neutra e presto o tardi si rischia di pagarne il conto sia in termini di produttività che di impatto sociale.
La riduzione dei posti non è l’unico frutto che la tecnologia può portare nel mercato del lavoro. Molte altre opportunità possono essere create e sviluppate a condizione di mettere davvero la persona al centro del lavoro.
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