In una dinamica negoziale vi sono sempre tre diverse tensioni che un bravo negoziatore deve imparare a gestire e che, pur conoscendole, non è possibile semplicemente evitare o eliminare ma tutt’al più mitigare.

La prima tensione è quella che si crea tra il desiderio di avere un approccio distributivo rispetto a quello di un approccio integrativo. L’approccio distributivo presuppone che vi sia un’unica torta e che lo scopo di una negoziazione sia quello di utilizzare tecniche e stratagemmi per ottenerne la fetta più grande. L’approccio integrativo invece, vede l’incontro con la controparte come un’occasione per allargare la torta, creando così del valore. 



Se dal punto di vista teorico risulta chiaro che un approccio integrativo possa produrre maggiori vantaggi per entrambe le parti, nella vita quotidiana è certamente più diffuso l’approccio distributivo con le sue dure e pressanti tecniche. A rendere ancor più complessa l’eventualità in cui due negoziatori utilizzino un approccio distributivo, vi è il fatto che questo approccio porti vantaggi esclusivamente nel caso in cui entrambi ne usufruiscano. Viceversa, qualora si presentasse il caso in cui solo una delle due persone voglia utilizzare l’approccio integrativo aprendosi quindi al desiderio di creare una relazione, mostrando i propri interessi e possibili punti di debolezza, ma dall’altra parte si trovi una persona che utilizza un approccio distributivo, sicuramente la seconda avrebbe enormi vantaggi perché potrebbe usare le informazioni che l’interlocutore generosamente ha condiviso soltanto per un proprio ritorno di risultato.



Questa complessa dinamica psicologica spiega bene come questa tipologia di tensione possa condizionare molte situazioni negoziali, con le quali anche i negoziatori più esperti devono rimettersi ogni volta alla prova.  Uno dei modi con cui gestire questa tensione è quello di imparare più strategie negoziali: chi avrà un approccio quindi distributivo sarà bene che venga formato ad apprezzare anche lo stile integrativo, imparando ad allargare la torta investendo sforzi e competenze più per aumentare valore che per sottrarlo alla controparte; viceversa, chi avrà un approccio integrativo è bene che venga formato sulle tecniche di manipolazione che usano i negoziatori violenti per imparare a disinnescarle riportando il confronto su un piano più serio.



La seconda tensione è quella che divide la persona tra l’identificazione con la controparte, volta quindi a un’apertura nei confronti degli interessi e del punto di vista dell’interlocutore, e l’affermazione delle proprie opinioni e preoccupazioni. La difficoltà in cui si imbattono molti negoziatori è quella infatti di dover scegliere se essere totalmente aperti alla controparte o totalmente chiusi. Questa seconda tensione, quindi, corrisponde alla capacità di mantenere un equilibrio tra il riconoscimento empatico delle necessità dell’interlocutore e il perseguimento dei propri interessi. 

Uno degli strumenti per gestire la seconda tensione è quello di usare il metodo O.D.I.® In sostanza, esso suggerisce che durante l’incontro ci debba essere prima una fase denominata Osserva, nella quale uno dei due interlocutori racconta la propria storia o versione dei fatti e, successivamente, l’altro potrà fare domande per verificare se ha compreso bene. Questa dinamica dev’essere vissuta da entrambe le parti, che potranno quindi raccontare la propria versione e successivamente verificare tramite domande se la controparte ha recepito bene o ha altri dubbi. Solo dopo queste due fasi (Osserva e Domanda) si passa alla fase denominata Intervieni, in cui si co-progetta una soluzione che, a questo punto, risulterà più equilibrata in quanto terrà conto di tutti i fattori emersi nelle fasi precedenti.

La terza tensione è tipica invece dei casi in cui il negoziatore esegue in prima persona la negoziazione per conto del proprio cliente. Si crea, infatti, una tensione committente-negoziatore, che può poi declinarsi in tante categorie più specifiche come ad esempio quella di cliente-avvocato, oppure direttore-dipendente, stato-diplomatico, ecc. L’elemento di tensione che rende complessa questa situazione è che per quanto un negoziatore debba porsi a disposizione del proprio committente, sarà sempre teso a tutelare anche i propri personali interessi e la propria reputazione. Questo terzo aspetto è forse quello meno indagato per due principali ragioni: o il negoziatore teme di ammettere il non sempre totale allineamento con le decisioni del committente, o per semplice superficialità ignora questo aspetto.

Mi è capitato in certi casi di non sentirmi in completo accordo con l’incarico di un committente, soprattutto in occasione della co-progettazione di un percorso di change management o della rinegoziazione dei contratti di alcuni dipendenti di un’azienda. Ciò che trovo utile sulla base di questa mia esperienza è domandarmi con frequenza se sono realmente allineato rispetto al mandato che mi è stato affidato e, nel caso in cui dovessi avere dubbi o addirittura mi trovassi in disaccordo con gli obiettivi esposti, chiedere un incontro per verificarne la correttezza. 

In conclusione, posso assicurare che qualora si sia presentata un’occasione di confronto e approfondimento sul mandato primario, sia io che il committente di turno ne siamo sempre usciti profondamente soddisfatti. Questo poiché, a seguito dell’approfondimento sugli interessi che volevano essere realmente perseguiti, diventava poi più facile co-progettare la strategia più adatta per ogni situazione.