Uno dei grandi mali che affligge il mondo della comunicazione è un’assurda regola che sostiene che “non bisogna mai dire di no”. Si è sempre ritenuto infatti che non dicendo “no” si possano tenere tutte le porte aperte, non si brucino relazioni e soprattutto si stia facendo una “comunicazione positiva”. Peccato che questa regola rifletta una dimensione di comunicazione efficace e non di comunicazione strategica. Alcuni esempi concreti ci permetteranno di comprendere meglio.



Qualche settimana fa sono stato invitato a un evento a porte chiuse in cui un noto presentatore televisivo intervistava un politico. A un certo punto l’intervistatore ha chiesto se il partito del politico avrebbe mai realizzato una certa opera. Anziché rispondere in maniera secca con un “no”, essendo che tutti i presenti in sala erano consapevoli dell’assurdità sia economica che strategica della richiesta, il politico si è lanciato in una serie di mezze frasi e divagazioni che avevano come scopo quello di non scontentare il presentatore e di illudere quei pochi in sala che credevano realizzabile quel progetto. Così facendo, servendosi di una comunicazione efficace, ha raggiunto il suo scopo di apparire amabile e affine agli obiettivi di chi parlava. E qui sorge il problema: cosa accadrà quando ci si accorgerà che non potrà realizzare quella promessa? Ovviamente tutti saranno meno fiduciosi nei suoi confronti.



Questo accade poiché quando qualcuno usa espressioni ambigue come “forse”, “ci stiamo lavorando”, “è un punto su cui occorre approfondire” e via dicendo, il nostro cervello non rimane nell’indeterminatezza e nel dubbio, ma ascolta solo quello che vuole: un bel sì. Quando poi ci si scontra con la realtà, ovvero che la persona non ha avuto il coraggio di dire di no, dallo stupore si passa alla delusione e poi alla rabbia; e spesso alla vendetta, politica o professionale che sia.

Dire subito un “no” secco, seppur con toni gentili, può non risultare nell’immediato efficace, ma permette all’interlocutore di metabolizzare subito la delusione, dando spazio all’approfondimento delle ragioni, risultando più vantaggioso e dentro una dinamica di comunicazione strategica e quindi di logica di miglioramento delle relazioni nel lungo periodo. Io per primo uso spesso il “no”, compensato da un para verbale dolce, e non me ne sono ancora pentito.



Qualche tempo fa ad esempio, mi è stato presentato un consulente che aveva una fiorente attività nell’ambito del marketing online che voleva realizzare una partnership. Dopo un mio chiaro “no” sulla collaborazione si è stupito, chiedendomi delle spiegazioni, alle quali ho risposto che col fatto di occuparmi solo di negoziazioni e soft skill, non potevo essergli di aiuto. Risultato? Dopo qualche secondo di imbarazzo abbiamo speso i successivi venti minuti a scambiarci pareri, suggerimenti e segnalazioni per aiutarci tramite contatti nei rispettivi campi. Abbiamo così concluso la conversazione senza raggiungere l’obiettivo prefissato, ma con tutt’altro valore.

Nelle mie docenze universitarie insegno infatti a usare la comunicazione strategica e quindi a tenere conto del funzionamento del nostro cervello per comprendere come è più strategico relazionarsi. E tra gli ingredienti di una buona relazione, sia nel lavoro che nel campo personale, c’è paradossalmente il “no”. Come accade in natura che dopo i grandi temporali spunta l’arcobaleno, così nelle relazioni dopo un secco “no” può fiorire un “sì” sincero.