Proseguiamo il ciclo di articoli dedicato alla matrice degli stili relazionali®, uno strumento che codifica i quattro stili relazionali utilizzabili, più o meno consciamente, nella vita professionale e personale. Se nel precedente articolo abbiamo evidenziato i limiti della Comunicazione Efficace, questa volta parliamo della Comunicazione Manipolatoria.
La parola “manipolazione” evoca immediatamente concetti negativi legati all’inganno e all’influenza. In effetti da un punto di vista puramente tecnico questa forma di comunicazione mira a soddisfare esclusivamente i propri interessi personali, oscurandoli all’interlocutore. Un manipolatore particolarmente abile ha dunque le potenzialità per garantire un risultato nell’immediato, ma si espone a un rischio incalcolabile a livello relazionale: al di là delle implicazioni etiche, la persona che si scopre manipolata nel migliore dei casi non esiterà a interrompere la relazione e, in scenari più pessimistici, sceglierà di vendicarsi. È molto difficile non accorgersi del danno subito: magari non sempre si ha l’acuità di comprenderne appieno le modalità, ma in un modo o nell’altro l’inganno è sempre percepito.
È forse per tale ragione che la Comunicazione Manipolatoria è attuata specialmente in dinamiche di vendita one shot, mentre è (fortunatamente) poco riscontrabile nei contesti organizzativi, in cui l’insorgere di un conflitto può portare a danni ben peggiori per l’azienda.
Per comprendere meglio come può declinarsi a livello pratico, riprendiamo l’esempio proposto nel precedente articolo: una società di produzione sta organizzando un’importante fiera di settore, ma a sole due settimane dall’evento, un collaboratore chiave responsabile dell’organizzazione si dimette senza preavviso. La manager del team decide di affidare le responsabilità a Sara, una collaboratrice di fiducia che lavora in azienda da molti anni. La manager vuole quindi che Sara faccia alcuni straordinari nelle due settimane successive per garantire il successo dell’evento.
Se scegliesse di comunicare in maniera manipolatoria, la manager potrebbe promettere false ricompense e mascherare la richiesta sotto forma di “favore”: “Come sai il tuo collega ha dato le dimissioni e ho bisogno che tu faccia qualche ora di straordinario per compensare la sua mancanza. So che posso contare sulla tua fedeltà e a tempo debito i tuoi sforzi verranno ricompensati“. La comunicazione della manager sfrutta la sua posizione di potere e spinge Sara ad accettare, ottenendo così il risultato auspicato nell’immediato. Ma cosa succederà quando Sara si accorgerà che la ricompensa promessa non verrà mai erogata? Nel migliore dei casi maturerà un senso di malcontento e frustrazione che influirà inevitabilmente sulle sue performance, nel peggiore dei casi sceglierà di abbandonare l’organizzazione.
Se l’utilizzo di tecniche manipolatorie è poco diffuso nel contesto aziendale, risulta invece ben più praticato nei processi di vendita, specialmente quando vi è scarsa probabilità di interfacciarsi nuovamente con il cliente. Tuttavia, anche negli ambienti commerciali può risultare deleteria, soprattutto in un contesto complesso e interconnesso come quello attuale. Basti pensare al danno reputazionale che può generare un cliente manipolato che sceglie di vendicarsi raccontando la sua esperienza negativa su una delle tante piattaforme di recensioni presenti sul web.
Se da un punto di vista morale se ne sconsiglia sempre l’utilizzo, inforcando gli occhiali tecnici del comunicatore strategico è possibile individuare alcune eccezioni in cui potrebbe risultare sensato utilizzarla. In particolare, è necessario quando la controparte manipola a sua volta e non è possibile sottrarsi alla relazione, oppure quando si è certi che il risultato ottenuto sarà sempre superiore al possibile danno.
In conclusione, usare la Comunicazione Manipolatoria non è solo eticamente scorretto, ma è anche logicamente svantaggioso nella maggior parte dei casi.
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