Una frase che dico sempre nei corsi per i dirigenti di grandi aziende, soprattutto quelli interaziendali, e che desta sempre grande stupore e probabilmente malcelato fastidio. è la seguente: «Ricordatevi che il brand più importante che avete e il primo che dovete difendere è il vostro nome e cognome!». Suggerisco questo perché vedo spesso un atteggiamento di estrema sicurezza nelle persone che da anni lavorano nelle stesse organizzazioni, soprattutto se queste ultime sono note a livello europeo e internazionale e se loro hanno raggiunto ruoli apicali grazie all’utilizzo del brand che rappresentano. Tale comportamento, tuttavia, può far sì che nel tempo, senza accorgersene, si “siedano sugli allori”, smettano di formarsi, di chiedere feedback, di chiedere ai propri mandanti quali solo realmente gli obiettivi che devono raggiungere, di essere gentili, ecc., fino a ritrovarsi licenziati. È proprio questo il rischio di un mercato sempre più veloce e in cui l’unica cosa che conta – in certi casi – è “fare goal”.
A questo punto, tali persone passano mesi, a volte un anno e mezzo, a metabolizzare l’impatto che il licenziamento ha avuto su di loro a livello psicologico oltre che economico, tentando di andare da tutti coloro che hanno conosciuto nel corso della loro carriera senza, però, trovare risposta ora che quel brand non li rappresenta più.
Proprio qualche tempo fa ho avuto modo di incontrare per la prima volta l’HR Director di una nota azienda del mondo farmaceutico. Questo è arrivato un quarto d’ora in ritardo non scusandosi, aveva sentito la nostra presentazione e aveva liquidato il tutto dicendo: «Bene che vi siete presentati a noi, oggi non abbiamo bisogno di quello che ci state offrendo. Tra sei mesi ricontattateci e se avremo tempo e necessità vi daremo un riscontro». Era stato estremamente sbrigativo, senza dare alcun tipo di feedback sui contenuti e sulle metodologie che avevamo presentato. Finito l’incontro, dissi ai miei collaboratori che non avremo fatto nessun follow-up ad una persona che – evidentemente – non concepiva gli incontri come un’occasione per co-progettare assieme qualcosa di utile per la sua azienda.
Il caso volle che, tempo dopo, io aprii per l’Accademia la ricerca di un senior che si occupasse di consulenza in Change Management visto il continuo ingrandimento dell’organizzazione di cui sono Direttore. Con mia sorpresa, mi segnalarono che tra i profili che si erano candidati c’era anche quello di questo HR Director. Anche solo per curiosità, dopo un mese lo incontrai in video call e mi disse che, proprio la settimana successiva al nostro incontro, la proprietaria della sua azienda lo aveva licenziato. Evento, questo, che lo aveva schioccato e in quel momento era alla disperata ricerca di un lavoro. Pur essendo quasi certo di non aver necessità del suo profilo in quanto non in linea con ciò che stavamo cercando, mi feci raccontare il suo percorso professionale e notai che tutta la sua esperienza si era limitata a quell’azienda, dove aveva così tanto delegato le attività strategiche e si era messo così poco seriamente in discussione da risultare pesantemente sotto le aspettative e le mie necessità.
Mi limitai a suggerire altri due referenti con cui poteva dialogare e un coach di carriera che avrebbe potuto aiutarlo a riorganizzarsi per cercare una nuova occupazione. Mi sorprese il fatto che mi ringraziò per i contatti e mi disse che non avrebbe contattato la coach di carriera in quanto lui rappresentava un brand che apriva tutte le porte. Conclusi il colloquio ricordandogli che ormai quel brand non lo rappresentava più.
Quindi, è bene lavorare portando valore alle aziende che rappresentiamo, ma il primo e più importante brand che dobbiamo tutelare siamo noi stessi.
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.
SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI