La maggior parte degli amministratori delegati che incontro ha una scrivania talmente sommersa dai problemi che i top manager riferiscono di ritrovarsi spesso senza sufficiente tempo ed energia per dedicarsi alla principale attività che gli compete: fare strategia per rendere sempre più forte la propria azienda.
A questi imprenditori insegno un processo per la risoluzione dei problemi che li porta a educare i propri manager affinché gestiscano in maniera migliore le difficoltà e, soprattutto, un processo che favorisca l’instaurazione di una cultura diversa, in cui si affrontano i problemi, ci si espone con dei giudizi e si impara, quindi, a prendere una posizione, senza costantemente delegare la questione al proprio diretto superiore.
Il processo è costituito dalle seguenti quattro fasi.
1. Mettere per iscritto il problema
Occorre imporre ai propri collaboratori di definire il problema e scriverlo nero su bianco, in modo tale che sia chiaro ciò che si deve affrontare. Nella maggior parte dei casi, infatti, quando ci si impegna nella risoluzione di una difficoltà si investe oltre il 50% del tempo semplicemente nel cercare di individuare quale sia la vera problematica. In questa fase è quindi importante individuare l’interesse da tutelare che in quel momento è minacciato da un atteggiamento o da una dinamica in atto. Come si dice in medicina: una diagnosi corretta è già mezza cura.
2. Stabilire le cause
In questa seconda fase occorre indagare per identificare il modo e la ragione per cui si è sviluppato il problema. E anche in questo caso bisogna impegnarsi affinché non si scada nella banale individuazione di un colpevole, bensì sia individuato l’elemento strutturale che ha generato la problematica.
3. Identificare le soluzioni
In questa terza fase il collaboratore deve produrre almeno due soluzioni al problema che ha riscontrato. Ciò che conta, infatti, è far emergere sempre più di una soluzione. Qualora non dovesse esserne trovata nemmeno una, semplicemente occorre convenire che si tratta di una situazione da accettare nella sua sostanza presente e che quindi non costituisce un problema.
A titolo di esempio, recentemente ho lavorato con un team di venditori che si lamentava costantemente di quanto i loro prodotti non raggiungessero la stessa qualità offerta dai concorrenti. Dopo aver compreso e condiviso che non era possibile applicare nessun tipo di intervento per aumentare questa qualità, almeno per l’anno seguente, è emerso come il vero problema fosse invece quello di aumentare le vendite e per risolverlo dovevano dunque intervenire su altri fronti, come l’incremento della formazione nella capacità di vendita e un miglioramento del customer service.
4. Prendere una decisione
Durante questa fase chiedo agli amministratori delegati di non intervenire, a meno che il collaboratore non sia giunto al punto di indicare quale, a suo parere, sia la soluzione migliore, ovviamente motivando la propria tesi.
I feedback che ricevo dagli amministratori delegati che utilizzano questo processo con i propri diretti riporti evidenziano non solo come venga ridotto notevolmente il tempo da loro impiegato nella risoluzione delle dinamiche altrui, ma soprattutto quanto questo strumento sia utile per formare i propri top manager nell’abilità di leadership. Essi, infatti, seguendo semplicemente i passi di questo processo, si rendono presto conto di possedere già tutti gli elementi necessari per prendere una decisione in autonomia.
Viceversa, quando si accorgono di non essere in grado di arrivare ad una decisione risolutiva, forniscono comunque così tante informazioni all’amministratore delegato che la soluzione da lui trovata è sempre di qualità superiore rispetto a quelle ipotizzate nel periodo in cui non veniva utilizzato questo processo.
Spesso in aula dico che tutti noi siamo pagati in fondo per un’unica ragione, ovvero risolvere i problemi, e chi sarà in grado di risolverli in maniera più veloce ed efficace scalerà rapidamente la gerarchia aziendale.
Aveva ragione, quindi, Galileo Galilei quando disse che “dietro ogni problema c’è un’opportunità”.