Il mio ufficio è pieno di libri di management. Da una parte perché sono un vorace lettore, dall’altra perché nonostante la tecnologia in cui siamo ormai immersi quotidianamente mi ritengo una persona all’antica che ama ancora sfogliare i libri e sottolinearli. Per chi non fosse avvezzo a tali letture, descrivo in breve che cosa potrete trovare dentro al 90% di questi libri: una lunga serie di teorie e modelli più o meno supportati da ricerche accademiche, che un manager dovrebbe seguire per diventare un leader.
Molti di questi libri, come intuito, si assomigliano tra di loro, e il lettore via via che procede con la lettura rischia di trovarsi con tantissime teorie in testa su cosa deve e non deve fare, col problema però che, alla fine, molte di queste strategie sono in netta contrapposizione tra di loro. Tra questa tipologia di libri vi sono però delle brillanti eccezioni, ed è proprio di una di queste voglio scrivere oggi.
Il libro in questione si intitola “Fare i manager rimanendo brave persone” di Giuseppe Morici, edito da Universale Economica Feltrinelli. Partiamo dall’autore. Morici è attualmente il Ceo di Bolton Group, la nota multinazionale italiana proprietaria di brand come Tonno Rio Mare, Omino Bianco e Neutro Roberts. Prima di approdare in Bolton, ha ricoperto ruoli apicali in Barilla, Monitor e Procter & Gamble. Stiamo parlando quindi di un top manager, o come preferirebbe lo stesso Morici, un grande manager, che guida un’azienda di circa due miliardi di fatturato e che avrebbe tutto il diritto di scrivere un ulteriore libro per questa categoria, in cui snocciolare i segreti del suo successo. Invece, l’autore in questo libro ha deciso di non percorrere la via breve, dimostrando con questa scelta di essere veramente un grande manager.
Infatti, il libro è incentrato non sulle risposte, quanto sulle domande che si è posto e si pone ogni giorno l’autore per poter essere sempre di più non solo un grande manager, ma anche una brava persona. Per farlo Morici, e su questo punto sono in totale sintonia con lui, suggerisce che occorre un nuovo vocabolario. Per cambiare il mondo, o almeno la propria azienda, i manager devono usare nuove parole (o antiche, a seconda di come le intendiamo), perché quelle che usiamo ogni giorno creano la realtà che costruiremo un domani.
Ecco quindi che si propone di sostituire la parola “vincere” con “prosperare”. Infatti, questo termine “sta a indicare qualcosa che procede nel modo più soddisfacente, apportando benessere, agiatezza”. Lo scopo di un’azienda, infatti, non è fare profitti, ma durare nel tempo, portando prosperità a tutti i soggetti che lavorano nella filiera, e quindi non solo all’imprenditore o agli azionisti, ma anche ai dipendenti. Di più, anche ai fornitori e al singolo produttore che sta all’inizio di tutto quel processo, che culmina con la messa in vendita su di uno scaffale di ciascun prodotto.
Un altro tema cruciale affrontato nel libro è quello relativo all’importanza dell’equilibrio rispetto al tentativo schizofrenico della ricerca dell’innovazione a tutti i costi per aumentare il fatturato. È bene ricordare che l’autore nasce come consulente, che si è occupato per anni di marketing e di campagne pubblicitarie, ed è interessante che proprio lui riveli che la causa del fallimento di molti progetti è determinata dalla spasmodica ricerca dell’innovazione e dell”effetto wow’, anziché un miglioramento di prodotti che già incontrano la soddisfazione dei clienti. In un passaggio del libro infatti si dice: “È provato da infinite analisi che tutti i piani strategici delle aziende di questo settore puntano sempre sull’innovazione, molto più di quanto puntino sulla crescita dei prodotti esistenti. Peccato che le stesse analisi provano sistematicamente che sono sempre i prodotti esistenti a crescere di più delle aspettative, e le innovazioni molto meno”.
Un altro punto che rende prezioso ai miei occhi questo libro è come viene descritto il rapporto tra l’imprenditore dotato di vision e capacità strategica con i suoi manager, che invece devono essere uomini di processo, di numeri, per “scaricare a terra” quanto intuito dalla proprietà.
Ma come si diventa abili nella gestione dei processi? Si domanda Morici. La risposta per quanto controintuitiva, è meravigliosa. L’autore sostiene che un manager solo approfondendo sempre più la visione dell’imprenditore imparerà non solo a leggere i numeri di un bilancio, ma a interpretarli per capire in che direzione orientare la macchina organizzativa e produttiva.
Gli spunti condivisi in questo libro sono l’anteprima di un viaggio che vale la pena che il lettore percorra, durante il quale potrà anche scoprire come si è evoluta la cultura dei manager dal secondo dopoguerra a oggi. Si tratta di un cammino che l’autore ha senza dubbio percorso da protagonista in quanto non solo si è concentrato nel dare risposte, ma ancor di più sulla qualità delle domande che si è posto. Non a caso Voltaire era solito dire: “Giudica un uomo dalle sue domande piuttosto che dalle sue risposte”.