Per le aziende la capacità negoziale è essenziale. È per tale ragione che questo quinto articolo del ciclo dedicato ai grandi maestri del Rinascimento tratta proprio il tema della negoziazione.

Al giorno d’oggi questa abilità spesso è concentrata e veicolata dall’Amministratore delegato che, nei casi di M&A, cioè di fusioni e acquisizioni di aziende, è il vero regista. In proposito è pertinente raccontare il percorso di formazione di un AD che avrebbe dovuto vendere l’azienda a una multinazionale tedesca. In un processo negoziale non sono importanti solo i numeri, ma anche l’incontro e lo scontro tra mentalità e culture diverse. In questo caso specifico sia i numeri che la psicologia erano sfavorevoli al nostro cliente, in quanto la sua azienda era dieci volte più piccola della controparte; inoltre, l’AD dell’azienda tedesca era molto temuto per il suo approccio deciso e verbalmente forte. Proprio per questo ci siamo concentrati nell’elaborazione di strategie che riportassero il confronto su un piano di parità e nell’affinamento di tecniche che permettessero d’incanalare la forza verbale della controparte. Abbiamo fatto esercitare il cliente nel parlare con un volume di voce superiore al suo abituale. Per indurlo a ciò gli abbiamo fatto ripetere il pitch di presentazione della negoziazione che avevamo scritto mentre nella stanza suonava un cd di musica cui via via alzavamo il volume.



Il percorso formativo ha condotto l’interessato a un nuovo approccio mentale, tanto che il giorno dell’incontro decisivo, non appena il suo interlocutore ha aperto la porta della sala riunioni, egli è entrato deciso andando a sedersi a capotavola: in questo modo ha spiazzato l’avversario, minando la sua sicurezza.



Anche i grandi del Rinascimento hanno saputo negoziare. Pur essendo in partenza riconosciuti come artisti di eccezionale valore, hanno ri-negoziato di volta in volta la propria posizione contrattuale nei confronti del committente. Possiamo prendere spunto da Michelangelo Buonarroti, che ha saputo dare testimonianza di non avere timore d’intraprendere compiti quasi sovraumani come l’affrescare la Cappella Sistina a Roma. Nel realizzare quest’opera magnifica ha saputo tenere costantemente la barra senza cedere alle tentazioni di chi, fosse anche il Papa stesso, voleva mettergli fretta affermando (almeno a parole) che si sarebbe accontentato di risultati inferiori al desiderio dell’artista. È noto uno scambio di battute, significativo della determinazione di Michelangelo: al Pontefice che domanda «Quando l’avrai finita?», egli risponde secco «Quando l’avrò finita!».



Nonostante i continui scontri, Michelangelo convinse finanziatori e collaboratori che dovevano avere fiducia e non abbandonare l’impresa, dimostrando una capacità di visione e di negoziazione invidiabile da qualunque imprenditore moderno. Con questo atteggiamento assertivo e perseverante l’artista attraversò anche momenti di duro scontro, come quando scioperò per un anno intero perché papa Sisto IV non lo pagava. Alla fine, però, come l’imprenditore di cui parlavamo, portò a termine la sua irripetibile opera.