Come spesso accade per molte tematiche del mondo smart, anche la fiducia non è un concetto nuovo, ma una tematica che le organizzazioni hanno riscoperto negli ultimi anni e stanno valorizzando come cardine per poter lavorare in modo smart. Se, come approfondito nel precedente articolo, comprendiamo che il modello del lavoro smart non è il lavoro a distanza, ma un lavoro che si basa su obiettivi e risultati specifici, misurabili e puntuali nel tempo, possiamo capire come la fiducia in un contesto lavorativo che favorisce l’autonomia, la proattività e la responsabilità, debba essere il terreno su cui costruire il lavoro in team.
Un’organizzazione che si basa sulla fiducia mette nelle condizioni migliori per lavorare i propri collaboratori. Lavorare nella fiducia significa sentirsi liberi di poter esprimere il proprio potenziale, di poter sbagliare e di poter esplorare strade nuove.
Molto più facile parlarne che metterlo in pratica. Sento dire la frase “solo chi lavora sbaglia” da almeno due decenni, eppure nell’errore anche il manager più smart fatica a non sfogare la propria frustrazione, o peggio la rabbia. La fiducia è quella competenza (è anche un valore, ma sul lavoro è bene considerarla una competenza a tutti gli effetti) che permette ai collaboratori di poter esprimere il meglio di sé e ai manager di poter far crescere e sviluppare i propri collaboratori.
Sembrerebbe un bellissimo idillio, ma purtroppo non è così semplice. La diffidenza e le incrinature alla fiducia sono continue, dalle voci di corridoio su collaboratori e colleghi (gossip aziendale) alle parole cui non seguono i fatti, dalla mail urgente che poi non era così urgente alla videocall in cui non serviva la nostra presenza e ci ha fatto perdere tempo; un uso poco consapevole di strumenti e processi aziendali contribuisce a minare la fiducia.
Anche il rapporto manager-collaboratore necessita di un lavoro sul tema della fiducia. Si deve costruire un rapporto fiduciario reciproco che abbandoni i vecchi paradigmi di controllo, anche visivo, e si sposti su un controllo delle attività che sia di supporto e ricco per entrambi. Non sono interessanti timesheet, timbrature, registrazioni di attività. Se concordiamo che il modello smart porta autonomia, proattività e responsabilità stiamo dicendo che i collaboratori hanno un potere decisionale che gli viene assegnato dal manager.
Per poter prendere una qualsiasi decisione, è necessario che lo scambio di informazioni tra collaboratore e manager sia costante. Il manager ha informazioni strategiche a supporto e il collaboratore ha informazioni operative di chi è sul campo quotidianamente. Il controllo, strumento fondamentale e sano, deve essere utile a entrambi per avere quelle informazioni che sono il patrimonio dell’azienda per raggiungere obiettivi e risultati. Bisogna abbandonare le paure tipiche del manager tradizionale che se non vede il proprio collaboratore seduto alla scrivania pensa che il lavoro sia bloccato. È ora di riconoscere che un lavoratore seduto davanti al pc potrebbe anche avere davanti a sé la pagina della Gazzetta dello Sport aperta. Chi lavora bene in azienda, lavora bene e spesso meglio anche da remoto. I risultati che vengono ottenuti sono il miglior output del lavoro dei collaboratori. Diventa cruciale saper assegnare obiettivi e risultati misurabili e specifici per i manager.
Altri requisiti fondamentali sono la gestione del tempo e la pianificazione delle attività. Il terreno della fiducia ha bisogno di cure e deve essere costantemente alimentato da comportamenti che siano motivanti, ingaggianti e sviluppino autonomia e responsabilità. È necessaria la maturità dei singoli e dell’azienda per poter realmente lavorare sulla fiducia. Le informazioni, le strade nuove esplorate e soprattutto gli errori devono essere un patrimonio condiviso con tutti, rimanendo focalizzati sul trittico che guida lo smart worker: risultati professionali, benessere personale e sostenibilità.
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