La spina dorsale dell’economia italiana è composta da piccole e micro imprese, in misura maggiore rispetto ad altre economie avanzate. Come riportato nel libro “Crescita economica e meritocrazia” di Lorenzo Codogno e Giampaolo Galli, le microimprese forniscono il 43% dell’occupazione, il valore più elevato nell’Unione europea ad eccezione della Grecia. Le grandi aziende sono invece sottorappresentate: la classifica Fortune 500 elenca solo 8 aziende italiane, che rappresentano meno del 2% del totale.
Le grandi imprese costituiscono una risorsa imprescindibile per un’economia sviluppata (lo diamo per scontato, anche se a qualcuno i “poteri forti” non piacciono): è quindi opportuno chiedersi perché in Italia il loro numero risulta in costante diminuzione. Lo spirito imprenditoriale non manca, ma qualcosa impedisce la crescita dimensionale. Una possibile interpretazione chiama in causa la maggiore flessibilità legislativa concessa alle piccole aziende (ad esempio, quelle con meno di 15 dipendenti). La spiegazione non appare però del tutto convincente.
“Qual è l’asset più prezioso di un’azienda?”. La rete vendita, la divisione marketing, il reparto ricerca e sviluppo, un brevetto particolarmente importante: tutte queste cose potrebbero occupare il primo posto della lista. Ma esiste un’altra risposta che non scontenta mai nessuno: l’asset più prezioso sono le persone. Nell’economia della conoscenza, il Santo Graal è rappresentato dalle competenze “hard” e “soft” delle risorse umane. Il social network Linkedin ribolle di mantra sulla valorizzazione delle persone: “Dai ai tuoi dipendenti una formazione che gli consentirebbe di trovare lavoro in un’altra azienda, trattali abbastanza bene da indurli a restare”. Ma siamo sicuri che sia davvero così?
Per capirlo, facciamo un esperimento ideale, ossia un esperimento che non viene realmente effettuato, ma soltanto immaginato (di solito perché troppo oneroso o addirittura impossibile da realizzare). Un esempio di esperimento ideale è dato dal famoso “ascensore nel vuoto”, che consentì ad Albert Einstein di intuire il profondo legame tra gravità e accelerazione. Questo esperimento ha avuto grande importanza nella storia, in passato (aprì la strada alla formulazione della teoria della Relatività Generale) e anche ai nostri giorni (fa parte del repertorio di Antonino Zichichi nell’interpretazione di Maurizio Crozza).
Ma veniamo al nostro esperimento. Prendiamo un’azienda di successo, con N dipendenti. Immaginiamo di sostituire tutti gli N dipendenti con altrettanti collaboratori, dotati di caratteristiche (capacità, studi, esperienza) paragonabili. Supponiamo, inoltre, di effettuare la sostituzione il più velocemente possibile, ma in modo tale da consentire il “passaggio di consegne” tra dipendenti vecchi e nuovi. Ipotizzando che tale processo di sostituzione richieda 2 anni, dopo 2 anni avremo un’azienda con risorse umane completamente rinnovate.
Ebbene, se i passaggi di consegne sono stati effettuati in modo corretto, l’azienda con personale rinnovato avrà una performance analoga all’azienda iniziale. D’altra parte il ricambio di personale è un processo fisiologico che avviene in qualsiasi azienda: i dipendenti della IBM nel 2021 sono persone diverse rispetto ai dipendenti della IBM nel 1950 (normalmente richiede un tempo più lungo di 2 anni). In base a tale esperimento ideale, possiamo quindi concludere che un’azienda non coincide con i suoi dipendenti. Che cosa costituisce allora l’essenza di un’azienda?
Ebbene, io credo che l’essenza di un’azienda sia costituita dall’insieme dei suoi processi, che descrivono il lavoro per tutte le funzioni aziendali: acquisti, vendite, logistica, manutenzione, adempimenti fiscali, ecc. O meglio, l’insieme dei processi in esecuzione (alcuni processi potrebbero essere descritti ma rimanere solo sulla carta della stampante, oppure essere descritti bene ed eseguiti male).
I processi svolgono una funzione analoga a quella dei vasi sanguigni in un organismo biologico: senza di essi, le cellule rimangono prive di ossigeno e l’organismo non cresce. La mappa dei processi comprende anche la gestione delle risorse umane: è quindi ovviamente indispensabile valorizzare i dipendenti. Al tempo stesso, occorre aumentare la resilienza aziendale facendo in modo che nessun dipendente sia indispensabile.
Nelle grandi aziende di successo, molto tempo e risorse vengono investiti nella progettazione e manutenzione della “mappa dei processi”; nelle piccole, in base alle mie esperienze e impressioni, molto meno. Posso convenire che i processi siano un tema piuttosto noioso e che si tratti di un modo di lavorare per certi versi più tipico delle macchine che degli esseri umani. È però l’unico sistema noto per gestire la complessità di un mondo che diventa sempre più complesso. Prima lo capiamo, meglio sarà per noi.
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