Sono solito dire che la negoziazione più importante è quella con sé stessi. Dietro questa affermazione c’è un’evidenza non solo scientifica, ma soprattutto empirica, che emerge dalle attività di consulenza che i professionisti dell’Accademia di Comunicazione Strategica ed io eroghiamo da anni in aziende di ogni dimensione.
Una negoziazione è una delle strade, forse la migliore, per gestire un conflitto. È interessante notare come il problema più complesso che affligge la risoluzione dei conflitti non riguarda tanto l’individuazione dei migliori metodi, strategie e tecniche per negoziare: la grande difficoltà è ammettere che il conflitto esista e trovare la forza per esplicitarlo all’altra persona. Sembra incredibile, ma se è vero che non tutte le negoziazioni vanno a buon fine, è pur vero che tutte le negoziazioni non iniziate finiscono sempre male. Le divergenze inespresse, per quanto al principio appaiano insignificanti, rischiano di gonfiarsi fino a esplodere, come una palla trattenuta sotto l’acqua del mare che improvvisamente viene lasciata e schizza verso l’alto. Inoltre, negoziare è sempre un’occasione per generare valore, opportunità che viene persa rifiutando il conflitto.
Recentemente ho avviato un Master One to One per il figlio di un noto imprenditore che ha creato un piccolo impero all’interno del proprio mercato di riferimento. Il mandato del padre, accolto con entusiasmo dal figlio, consisteva nel fornirgli le competenze strategico-relazionali per poter guidare un domani l’azienda. Durante il percorso mi sono accorto che, seppur si trattasse di un giovane particolarmente arguto e brillante, capace di appropriarsi di complesse strategie linguistiche e negoziali, avesse un incredibile blocco emotivo: non era mai riuscito a trovare il tempo, o forse il coraggio, per presentare al padre diverse proposte particolarmente innovative che aveva ideato. L’esitanza era dettata dal timore che il padre non fosse stato disposto ad accettare una via così rivoluzionaria, con il rischio che questa divergenza di vedute potesse generare uno scontro. Ciò lo aveva portato a indirizzare una parte del suo capitale per iniziare una nuova avventura professionale da solo.
Grazie al supporto del master riuscì ad aprirsi al padre, dando vita a un confronto virtuoso. È ciò che spesso accade quando due persone intelligenti dialogano: non è l’idea del primo a vincere su quella del secondo (o viceversa), ma dalla crasi dei due contributi emerge un’intuizione ancor più illuminante. Padre e figlio hanno così co-progettato insieme una terza via su cui iniziare a investire in maniera decisa e che ipotizzano possa rappresentare un domani una fonte di reddito importante per l’azienda.
Realisticamente parlando, forse solo una volta su dieci si ha il coraggio di fronteggiare i conflitti, a causa della nostra tendenza culturale a evitarli. Per questo credo che chiunque si occupi di formazione abbia la responsabilità di insegnare a gestire l’emotività, non solo a chi raggiunge i vertici aziendali, ma fin dalle scuole elementari. Ciò può rivelarsi utile a tutti i livelli: a un bambino al quale viene sottratto un pennarello dal compagno di classe, a un imprenditore chiamato ad affrontare una situazione complessa come quella illustrata, fino a chi si trova a negoziare per gestire conflitti internazionali come quelli tristemente raccontati ogni giorno al telegiornale.
È tempo di programmare una politica dell’incontro, del confronto, del dialogo che parta innanzitutto da una negoziazione con sé stessi.
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