Siamo tutti ormai ben consci del fatto che la maggior parte dei programmi e degli appuntamenti che erano stati fissati in agenda prima dell’epidemia da Covid-19, o di quelli programmati senza ancora sapere bene quali sarebbero stati i limiti della quarantena, sono molto probabilmente saltati. E tutti si stanno trovando nella situazione di dover ricostruire i propri impegni e quindi, prima ancora, la propria strategia. In questo momento una sola è la domanda più strategica che ciascuno dovrebbe farsi: perché? 



Quello della crisi è, infatti, il momento in cui occorre chiedersi cos’è essenziale tutelare con tutti i propri sforzi. George Santayana diceva infatti: “Il fanatismo consiste nel raddoppiare lo sforzo quando ci si è dimenticati lo scopo”. Approfondiamo quindi quali sono i vantaggi che derivano dal chiedersi il perché dei propri sforzi.



1) Determina il risultato. Tutti desiderano combattere contro la crisi economica che sta nascendo a causa del Covid-19, ma ancor di più desiderano vincerla, possibilmente sapendo di avercela anche messa tutta. Però non si può vincere senza determinarne prima il successo. Occorre infatti identificare il punto di riferimento che si vuole raggiungere per qualsiasi investimento di tempo ed energia, che sia un importante investimento economico o una semplice riunione. Solo fissandosi un parametro, si potrà dichiarare infine se si ha vinto o meno.

2) Stabilisce i criteri decisionali. In questo periodo tutte le aziende stanno ovviamente rivalutando l’investimento dei propri budget. Con quale criterio, tuttavia, è possibile decidere se investire in pubblicità, innovazione o informazione? Avendo fissato precedentemente un obiettivo determinato ora è possibile vedere di fronte a sé criteri più chiari per prendere decisioni e scegliere una strada piuttosto che un’altra. David Allen, esperto di time management sostiene infatti che “l’unico modo per prendere una decisione difficile è fare riferimento allo scopo originale”.



3) Ordina le risorse. Una volta ricavati e scelti i criteri, si può passare alla parte operativa, suddividendo il proprio budget e le proprie risorse materiali e psicologiche sui diversi progetti. Si potrà quindi scoprire che spesso per “fare di più” serve paradossalmente “fare di meno”.

4) Motiva. Ribadire il perché si sta perseguendo un tale obiettivo permette alle persone di avere motivazioni in più. Usando una similitudine, è come mettere un piede sull’acceleratore: apparentemente la struttura organizzativa è la stessa, ma il risultato è che corre più velocemente verso la meta.

5) Aiuta a focalizzare. Solo una volta che si è decisa la meta, il cammino si fa più chiaro davanti a sé. Sappiamo infatti dalle neuroscienze che ogni azione intrapresa è stata prima immaginata. Identificata quindi nel nostro cervello. Il fisico Albert Einstein sosteneva che “l’immaginazione è più importante della conoscenza”.

6) Aumenta le opzioni. Riporto un esempio tratto dalla mia esperienza. In questo periodo il mio team ed io siamo stati chiamati ad aiutare i board di alcune aziende nella ridefinizione delle strategie per gestire la crisi sotto l’aspetto della comunicazione e a volte anche dell’organizzazione. E siamo stati testimoni proprio di quanto sopracitato: nel momento in cui vengono fissati gli obiettivi strategici, siano essi molti, pochi o uno solo, la capacità creativa dei manager si sblocca e individua le diverse strade possibili per raggiungere la stessa meta. Si possono quindi successivamente confrontare, scegliendo quella che risulta, dal punto di vista aziendale, più efficace ed efficiente.

In conclusione mi auguro che tutti possano cogliere questa occasione per approfondire nuovamente l’importanza di chiedersi il perché del proprio lavoro e di ciò che offriamo, e come sostiene ancora David Allen: “Se non siete sicuri del perché state facendo una cosa, non potrete mai fare abbastanza”. 

Leggi anche

VACCINI COVID/ Dalla Corte alle Corti: la neutralità che manca e le partite aperteINCHIESTA COVID/ E piano pandemico: come evitare l’errore di Speranza & co.INCHIESTA COVID BERGAMO/ Quella strana "giustizia" che ha bisogno degli untori