Uno dei più grandi ostacoli che portano al fallimento di una negoziazione è tanto semplice quanto pericoloso: la mancanza di comunicazione. Quando uno dei due interlocutori è restio al dialogo e limita sensibilmente l’uso delle parole ha origine in entrambi i soggetti un’escalation di pensieri e retropensieri, tentativi illusionistici di leggere nella mente dell’altro. E mentre il dialogo non prosegue, la mente e i cuori delle persone inevitabilmente si allontanano, la relazione si interrompe e i progetti che avrebbero potuto realizzarsi se si fosse raggiunto un accordo non vedono la luce.



Quella di non esprimere – spesso neanche a sé stessi – i problemi che possono intercorrere in una relazione, sia in azienda che nel privato, è una dinamica che, nonostante gli anni di studio nel merito, mi sorprende sempre. La verità è che di frequente in modo inconscio accettiamo di subire i danni derivati dall’interruzione di una relazione professionale e dal conseguente guadagno mancato piuttosto che  esprimere i problemi, i dubbi, le perplessità che ci frenano. Per questo motivo, una delle più importanti capacità che un bravo negoziatore deve possedere in qualunque contesto consiste nel riuscire a far parlare il proprio interlocutore.



Per far ciò sono necessari degli strumenti che in Accademia di Comunicazione Strategica raggruppiamo nella definizione di “Arte delle domande strategiche”. Quest’arte ha come scopo quello di recuperare gli interessi e i bisogni degli interlocutori, tuttavia, è bene ricordare che necessita di un’importante premessa: deve esserci un sincero interesse. Occorre, infatti, essere sinceramente interessati alla persona di fronte e avere un’ipotesi positiva: ciò che il nostro interlocutore sta dicendo è importante. Questo perché chiunque, attraverso il non verbale, può recepire se il proprio interlocutore lo stia ascoltando e rispettando o, al contrario, stia solamente tentando di far accettare un’idea per un vantaggio egoistico.



Una frase che dico spesso è: “So che è venuto fuori questo tema, parliamone, aiutami a capire meglio”. Evidenziare la presenza di un problema o un possibile punto di disallineamento è il primo passo per annientare il “mostro”. L’oscurità e i problemi a essa legati si superano mettendoli in luce e scoprendo che, spesso, sono molto più piccoli e gestibili di ciò che si pensa inizialmente.

Non molto tempo fa ero in procinto di avviare un importante progetto di ricerca che volevo finanziare attraverso il Centro Studi di Comunicazione Strategica. Una mia collaboratrice mi fece tuttavia notare che non era certa della posizione che avrebbe avuto il direttore in merito a quel progetto e che da giorni si sforzava di immaginare come avrebbe reagito. Temeva, infatti, ci fossero ragioni per cui il direttore avrebbe potuto ostacolare la ricerca per concentrarsi su un altro cliente. In un istante risposi: “Chiamiamola, e chiediamole cosa ha da dirci”. In una manciata di minuti ci raggiunse, esprimendo le sue perplessità che, tuttavia, furono sciolte grazie a un compromesso in grado di soddisfare tutte le parti in gioco. Un confronto serrato di soli 15 minuti aveva dato un risultato migliore rispetto a 3 giorni di congetture.

Il mio invito è quindi duplice: da una parte occorre considerare seriamente le emozioni e condividerle con gli interlocutori imparando comunque a fare brillare i propri interessi, infatti, dicendo in modo chiaro ciò che vogliamo ottenere rendiamo probabile il suo avverarsi. Il secondo invito è di imparare a porre più domande, ricordando di portare sempre rispetto e interesse a chi ci sta di fronte. È incredibile ciò che la gente ci racconta quando siamo onesti nel domandare. Parafrasando una famosa citazione: “Domandare per credere!”.

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