La pandemia ha scosso e modificato il mondo del lavoro. Questa verità è visibile soprattutto dall’enorme quantità di figure professionali che ha rimesso in discussione i propri principi e valori, i propri obiettivi. Infatti, le ricerche mostrano un dato significativo: circa il 40% delle persone attive nel marcato del lavoro oggi sarebbe disposto a valutare un cambiamento sia del posto di lavoro, sia di job title e funzione lavorativa.
Se, dal punto di vista sociologico, si tratta di un fenomeno interessante, per le aziende questa dinamica porta con sé un grande problema, che in questo articolo vorrei affrontare dando tre spunti operativi affinché le aziende possano, da un lato, frenare l’ondata di dimissioni delle persone da cui sono formate e, dall’altro, attrarre i migliori talenti.
Suggerisco alle aziende e agli imprenditori di mappare bene attività e competenze presenti attualmente in azienda attraverso l’ascolto e il controllo di organigramma e schede risorse degli impiegati. La mappatura ha due grandi vantaggi poiché permette sia di ottimizzare le attività e le capacità dei singoli, sia di conoscere il livello di performance di ognuno di loro. In questo modo, se una persona dovesse rassegnare le dimissioni riducendo al minimo il periodo di preavviso – come sempre più spesso accade – si sarebbe a conoscenza del tipo di attività svolta e del livello a cui questa performava. Avere tali informazioni renderà più semplice, in un secondo momento, l’attivazione del processo di selezione per sostituire chi si è dimesso.
È importante capire che redigere delle schede risorse incentrate su attività e mansioni ed effettuare una valutazione oggettiva del livello a cui quella persona svolgeva il proprio lavoro è fondamentale, non solo per “giocare in attacco” e migliorare l’efficacia e l’efficienza, ma anche come “assicurazione sulla vita aziendale”, cosicché, nel momento in cui ci saranno delle fuoriuscite improvvise, l’azienda sarà in grado di individuare di cosa ha bisogno per far sì che i licenziamenti spontanei non comportino una perdita, ma offrano un’opportunità di miglioramento.
Come migliorare, quindi, il processo di selezione? È evidente che negli anni, le aziende – anche le più attrattive – hanno perso potere nel processo di selezione. Se prima le persone erano disposte ad accettare le condizioni offerte da grandi brand pur di lavorare al loro interno, adesso le aziende devono rivedere in maniera profonda i processi di selezione riflettendo sui seguenti elementi:
1) brand reputation e talent attraction, domandandosi quanto il brand sia realmente attrattivo e quanto la stessa azienda sia reputata solida dal punto di vista etico, della possibilità di dar modo ai talenti di crescere, ed economico;
2) ripensare alle condizioni lavorative offerte, tenendo in considerazione ciò che le persone veramente desiderano. I dati, ad esempio, indicano la necessità di migliorare il work-life balance, ovvero l’equilibrio di tutti gli aspetti della vita di una persona (lavoro, famiglia, amicizie, hobby, tempo libero). Ciò significa pensare a un modello di lavoro ibrido con possibilità di smart working, agli economics, a fissare obiettivi più chiari che permettano alle persone di identificarsi meglio, esplicitare i valori e la mission aziendale, offrire momenti di formazione;
3) inserimento di tecniche anti-bias che permettano di selezionare persone realmente in linea con i valori dell’azienda e le strategie aziendali, escludendo coloro che poi non si riveleranno in linea con il profilo ricercato.
Il processo di selezione può essere l’occasione per ripensare in maniera profonda la mission aziendale. Sappiamo, infatti, che le persone che entrano in azienda, ora più che mai, non decidono di lavorarvi solo per fatturare, ma chiedono altre due cose:
1) che la vita professionale non costringa alla rinuncia di quella personale; tradotto significa avere il diritto a non essere reperibili al di fuori dei giorni e degli orari di lavoro;
2) il purpose o l’obiettivo profondo che ha l’azienda. Questa seconda dinamica può rappresentare una grande occasione di rimonta per le PMI, che più delle grandi aziende hanno questi valori insiti e, quindi, hanno tutte le carte in regola per poter attrarre ora i migliori talenti rispetto alle multinazionali, le quali hanno sempre giocato sulla possibilità di maggiori economics e posizionamento di prestigio, due elementi che oggi risultano meno attrattivi.
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