Con questo articolo iniziamo un piccolo ciclo sui falsi miti della negoziazione. In questa prima parte intendo svelare i motivi per cui la persuasione ha poco a che fare con la negoziazione.

La parola “persuasione” da sempre affascina l’uomo, perché è legata a quella capacità misteriosa che sembra permettere, a chi possiede la dote di persuadere, di far fare agli altri ciò che lui vuole. Chi si affaccia al mondo della persuasione lo fa con sospetto temendo di essere manipolato, oppure con il desiderio di volersi impadronire di tecniche e strumenti per risultare più convincente e, addirittura in certi casi, per manipolare lui stesso gli altri. Recentemente, ho tenuto una docenza in un master di negoziazione in una nota università milanese e tutti i partecipanti hanno fin da subito mostrato interesse per approfondire con me proprio il tema della persuasione e sono rimasti molto sorpresi quando ho svelato a loro che l’Accademia di comunicazione strategica, la società di cui sono direttore e che si occupa appunto di studiare e fare consulenza in campo negoziale, raramente parla del concetto di persuasione in riferimento alle negoziazioni. 



Persuadere, infatti, indica la capacità di “attrarre soavemente verso di sé” e tutte le tecniche di persuasione fanno leva su quelli che in Accademia chiamiamo gli interessi del Tu, ovvero gli interessi dell’interlocutore. Ma chi persuade lo fa nella maggior parte dei casi, in realtà, per tutelare anche i propri o addirittura esclusivamente i suoi interessi. Quando una persona persuade facendo leva sugli interessi del Tu, ma col solo scopo di tutelare i propri interessi, noi chiamiamo questa dinamica “manipolazione”. Esempio classico è quello del venditore che vuole venderti qualcosa di cui tu non hai bisogno, perché il suo reale interesse è portarsi a casa i soldi. 



Nel secondo caso, cioè quando si fa leva sugli interessi del Tu per tutelare gli interessi sia dell’Io che del Tu si può parlare di persuasione. Riprendendo l’esempio precedente, questo è il caso in cui chi vende ha realmente ascoltato le esigenze del compratore e gli ha suggerito di comprare l’oggetto che realmente serve al suo interlocutore, realizzando così il suo desiderio da una parte e il proprio giusto guadagno dall’altra. Come si può intuire, quindi, il confine che separa la manipolazione dalla persuasione è veramente sottile e in tanti casi bisognerebbe scandagliare il pensiero del persuasore per essere certi delle sue reali intenzioni.



Dopo che ho raccontato queste cose ai partecipanti di quel master, è intervenuto un manager che si è definito un abile negoziatore e dopodiché la classe gli ha chiesto di condividere con noi un aneddoto che ce lo potesse confermare. Lui ha raccontato che tempo prima voleva persuadere sua moglie a cucinare almeno tre volte a settimana visto che non cucinava mai e si era stancato di riscaldare il cibo precotto. Così ha iniziato una negoziazione con sua moglie partendo da un ancoraggio alto, ovvero dicendole che voleva che lei cucinasse almeno cinque volte a settimana. Dopo la negoziazione, che dal racconto si evinceva che fosse stata molto animata, si sono accordati in modo tale che la moglie avrebbe cucinato quattro volte a settimana. Il manager, quindi, ha concluso il racconto dicendo che era riuscito a ottenere ben più del suo obiettivo iniziale.

Alla fine del racconto la classe gli ha fatto alcune domane tra cui: cosa accadrà quando tua moglie scoprirà che tu saresti stato contento se lei avesse cucinato anche solo tre volte a settimana? E soprattutto cosa accadrà nel momento in cui si renderà conto che tu non hai concesso nulla in cambio all’aiuto che lei ti avrebbe dato? E ancora: questo accordo che hai strappato grazie alla persuasione quanto pensi che potrà durare nel tempo? A queste domande quel manager ha risposto che in effetti dopo quella sua “vittoria” la moglie aveva iniziato a fare molte meno faccende in casa e quindi la sua era stata “vittoria di Pirro”. 

A quel punto ho condiviso anch’io, per rimanere in tema, un aneddoto casalingo. Ho raccontato, infatti, che qualche giorno prima la mia fidanzata Francesca mi aveva proposto di iniziare a cucinare tre volte a settimana e io prima ancora di controbattere le avevo chiesto se a lei piacesse farlo. Lei mi ha risposto che le piaceva molto cucinare, solo che ogni tanto la sera si sentiva stanca e gradiva maggior aiuto da parte mia. Le ho chiesto, allora, cosa non le piacesse fare legato al tema della cucina e lei mi ha risposto che odia svuotare la lavastoviglie (mentre riempirla chissà perché le piace) e che non le piaceva neanche sparecchiare la tavola; le ho detto allora che se fosse stata d’accordo mi sarei impegnato a sparecchiare la tavola tutte le sere e a svuotare la lavastoviglie ogni volta che me l’avrebbe chiesto, ma che in cambio salve rare eccezioni si sarebbe occupata lei della cena, perché io a differenza sua non amo cucinare. Alla fine, ci siamo accordati con serenità e quella sera stessa Francesca era così soddisfatta dell’accordo raggiunto che ha voluto testimoniarlo preparando una buonissima pasta fatta in casa (che io mai avrei saputo replicare). 

Questo aneddoto mi è servito per far capire a quel manager, alla classe e spero a voi, uno dei punti essenziali della negoziazione: questa, infatti è basata sullo scambio; bisogna dare agli altri ciò che a noi costa poco, ma che agli occhi del nostro interlocutore vale molto, tenendo bene a mente che l’obiettivo è tutelare gli interessi sia propri che della controparte. Il problema della persuasione, infatti, sta proprio nel fatto che chi persuade o intende farlo non racconta mai i suoi interessi e questo fa sì che se all’inizio passi per buon samaritano, ma poi quando le sue reali intenzioni vengono svelate, la controparte si senta tradita. Ha più senso allora esplicitare fin da subito le reali intenzioni, in modo tale da raggiungere il proprio obiettivo e tutelare la relazione che sappiamo essere il bene più prezioso.

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