Una delle soft skills di cui si parla molto poco, ma che a mio parere è invece fondamentale per ognuno di noi, è la capacità di gestire i propri errori e fallimenti. Recentemente sono stato in un’azienda che sta attraversando un periodo di crisi economica e ho moderato alcune riunioni di brainstorming per individuare le possibili cause del crollo del fatturato oltre che della diminuzione della qualità dei rapporti tra la prima e la seconda linea. Mi ha molto colpito notare come durante la riunione con l’amministratore delegato e i top manager siano emerse più di 50 ragioni a cui imputare l’andamento negativo dell’azienda e al contempo constatare come nessuno dei 10 partecipanti abbia citato anche un solo possibile spunto di miglioramento per se stesso o per il team di cui era a capo.
Questo semplice fatto ci permette di riflettere su una dinamica più che frequente nelle aziende, a prescindere dalle loro dimensioni: il tentativo di individuare le cause dei propri fallimenti al di fuori della propria persona, lontano il più possibile da se stessi. Caso ben diverso quello che riguarda un progetto a lungo termine recentemente intrapreso con una giovane amministratrice delegata, la quale, pur avendo meno di 45 anni, guida già una delle realtà più importanti di tutto il Paese. Durante il nostro incontro conoscitivo ho ceduto alla curiosità di domandarle quali capacità le avessero permesso di raggiungere l’importante posizione in cui si trovava, alla guida di diverse migliaia di dipendenti.
Senza la minima esitazione mi ha risposto che l’origine del suo successo consisteva nell’aver messo la propria faccia in tutti i progetti a lei affidati sino a quel momento, quindi sia per quelli conclusisi nel migliore dei modi, ma ancor di più per quelli che non avevano dato l’esito sperato. Mi ha raccontato, quindi, di come, in ogni sua occasione a capo di un team, si prendesse tutte le responsabilità dei fallimenti e, solo in privato, riferisse ai suoi collaboratori le possibili aree di miglioramento. Sono certo che il modus operandi di quell’AD rappresenti molto bene non solo un eccellente modello da seguire, ma indichi anche una caratteristica imprescindibile per la leadership di quest’era professionale.
La rivoluzione digitale e la globalizzazione imperante influiscono sul lavoro e sulla sua velocità in una misura talmente elevata da far risultare ridicola, se non dannosa la figura ormai stereotipata del leader che ritiene di non sbagliare mai e che tratta i propri collaboratori come soldati di fanteria. Paradossalmente l’era digitale ha liberato una nuova capacità di leadership, che ora necessità di essere sia visionaria che sperimentatrice. I leader di domani non sono coloro che oggi vendono i prodotti migliori, ma quelli che non smettono di sperimentare, rimettendo in discussione prima di tutto il proprio operato.
Ho personalmente sperimentato questa considerazione in un colloquio con l’AD di una nota azienda farmaceutica. Durante una riunione gli avevo infatti restituito il mandato affidatomi in precedenza come negoziatore, in quanto il progetto su cui avevo lavorato, nonostante gli impegni profusi, non aveva dato l’esito sperato. Con mia sorpresa l’AD mi ha rinnovato l’incarico per un altro progetto ancora più complesso. Prima di accettare l’incarico ho domandato la ragione della sua decisione e la sua risposta è stata: “Il mancato raggiungimento dell’obiettivo è dovuto soprattutto ad alcuni elementi imprevisti del mercato e se devo essere sincero anche da mie mancanze. È indiscutibile che questa battaglia l’abbiamo persa, ma ho potuto toccare con mano che tu non sei uno che abbandona il campo, anche di fronte ad una sconfitta. Trovare qualcuno con cui si può perdere insieme a volte vale più che trovare qualcuno con cui gioire per la vittoria”.
L’invito che faccio quindi a giovani e senior è quello di non retrocedere mai di fronte ai propri errori, perché è imparando a guardare dentro se stessi che si impara a crescere. Se scoprirete di non essere perfetti non vi preoccupate, siete in buona compagnia.