In un’epoca così complessa come quella che stiamo vivendo può essere certamente utile trarre suggerimenti dai grandi personaggi della storia. A tal proposito, in quanto professore di Comunicazione Strategica e docente di Soft Skill, ho deciso di scrivere un ciclo di articoli che mostra come le più illustri personalità dell’epoca rinascimentale hanno saputo sfruttare i loro talenti. L’espressione anglosassone “Soft Skill”, che oggi prevale, sostituisce infatti la parola “talento”, comunemente usata in passato.
Questo approccio consentirà a voi lettori di comprendere come le moderne Soft Skill sono in realtà sempre state d’aiuto anche in periodi storici passati, nonostante ancora non avessero un termine preciso che le esplicitasse e una corrispettiva definizione linguistica. Osservare come queste venivano padroneggiate dai grandi maestri può essere utile per trarre dei validi insegnamenti da mettere in pratica al giorno d’oggi.
Il primo articolo di questa serie ha come oggetto una Soft Skill particolarmente funzionale nell’epoca attuale: la capacità di gestire lo stress. La vita frenetica e la smisurata quantità di informazioni che recepiamo quotidianamente hanno di gran lunga aumentato il livello medio di stress. Basti pensare che il nostro cervello prende ogni giorno circa 70.000 decisioni, la metà di quante era chiamato a prenderne trent’anni fa.
La parola inglese stress ricorre fra i responsabili aziendali per esprimere l’idea delle sollecitazioni, continue e incalzanti, cui è sottoposto chiunque svolga importanti compiti decisionali. La capacità di sostenere e gestire questa pressione psicologica, che ricade sulla persona fisica, rientra fra le cosiddette competenze trasversali del manager. Anche quando si lavora con validi collaboratori o si affianca un leader che sappia motivare, capita prima o poi di ritrovarsi a un punto del guado in cui pare che vengano meno le forze e la meta sembra lontana.
In quei casi non sempre è possibile trovare una fonte rigenerante nel confronto con i colleghi; occorre contare sul dialogo interiore: una modalità che bisogna apprendere, instaurare e sviluppare nel tempo. Nelle situazioni di stress è necessario, infatti, ritrovare il perché si stia facendo un certo tipo di lavoro, confrontandosi con i “non detti“, ossia i propri pensieri reconditi. In questi momenti di autocoscienza, se si è onesti, emergono sempre degli elementi di indeterminatezza che si possono chiarire con la ridefinizione degli obiettivi, ma altre volte rimangono dei “non finiti“.
Negli incontri one to one con i manager notiamo spesso la tentazione di sottrarsi dall’esaminare una determinata area d’incertezza, sgattaiolando via o enunciando frasi palliative. Nei grandi uomini d’impresa si riscontra invece la capacità di accettare le proprie ferite, debolezze e insicurezze e di procedere verso la meta desiderata, non “nonostante queste“, ma “con queste“.
Questa capacità di gestire lo stress ammettendo i propri limiti può essere paragonata al cosiddetto non finito di Michelangelo. Si tratta di una tecnica di scultura rinascimentale che prevede la realizzazione di opere volutamente incompiute, in modo da far sembrare la figura imprigionata nel materiale. Nel non finito, Michelangelo sembra affermare il concetto che l’indeterminatezza è una caratteristica fondamentale del reale. Vasari, inoltre, sostiene che «il non finito di Michelangelo riflette l’umanità delle sue idee che si pongono sempre oltre le capacità delle sue mani». Questa tecnica attinge le sue idee dalla filosofia platonica, secondo cui qualsiasi opera d’arte non assomiglia mai completamente alla sua controparte celeste. Vi è quindi un’accettazione dell’imperfezione umana che viene espressa attraverso la realizzazione di sculture incomplete.
Secondo questo ragionamento, anche i manager odierni dovrebbero attingere dagli insegnamenti di Michelangelo per accettare i propri limiti e continuare a perseguire i propri obiettivi a prescindere da essi. Essere consapevoli delle proprie debolezze è il primo passo per imparare a gestire situazioni stressanti.
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