JobsLab, un centro di elaborazione sulle politiche del lavoro legato alla Apl Synergie, ha dato vita nello scorso fine settimana al secondo Forum di Pollenzo. È un appuntamento dove oltre 100 direttori delle risorse umane di grandi imprese e multinazionali si mettono a confronto con rappresentanti istituzionali, sindacali e delle organizzazioni imprenditoriali e con esperti del mercato del lavoro su “Il lavoro nella società attiva”.
L’importanza dell’incontro è stato sottolineata dall’intervento svolto dalla ministra del Lavoro che non si è limitata a un saluto di circostanza, ma ha voluto esporre il significato del provvedimento del primo maggio e il percorso con cui prevede di dare seguito alle scelte di semplificazione e potenziamento delle politiche per l’occupazione. La citazione della Ministra Calderone mi esime dal citare le tante altre personalità che hanno dato importanti contributi al dibattito per sottolineare invece i temi e le proposte emerse.
I lavori si sono articolati in tre sessioni. La prima dedicata alle politiche attive del lavoro, la seconda incentrata sulla contrattazione di prossimità dell’articolo 8 e poi una sessione di sintesi con interventi propositivi sui diversi temi emersi.
I principali nodi che interessano attualmente il nostro mercato del lavoro sono stati individuati nel basso tasso di occupazione che continua a caratterizzare il nostro Paese. In una fase di declino demografico e di persistente mismatching formativo, il sistema produttivo rischia un impatto negativo sia nella sua capacità competitiva, sia nella crescita della produttività. La debolezza della risorsa lavoro e gli scarsi investimenti nell’aumento del capitale umano sono la principale falla nelle previsioni di crescita per i prossimi anni.
Gli strumenti posti in discussione hanno riguardato principalmente la necessità di rendere sempre più dinamico il mercato del lavoro con un sistema di operatori delle politiche del lavoro pubblico e privato, una funzione importante del sistema delle imprese nei percorsi educativi e formativi, una nuova fase della partecipazione dei lavoratori alla vita delle aziende in un nuovo modello di relazioni sindacali.
Sulle politiche attive l’attenzione si è focalizzata sulla necessità di rivedere l’impostazione data alle politiche del lavoro nell’ambito del Pnrr. Oggi il sistema si presenta irrigidito dall’imbuto creato dall’obbligo di passare per i Cpi, senza che abbiano capacità operative per l’incrocio domanda-offerta di lavoro, e finanziando corsi di formazione slegati dallo sbocco occupazionale. Riorientare le risorse disponibili verso un sistema che valorizzi il ruolo di tutti gli operatori di intermediazione del lavoro e legare le scelte formative a sbocchi occupazionali individuati restituirebbe capacità e flessibilità al sistema. Permetterebbe inoltre un impegno diretto del sistema delle imprese e degli enti bilaterali favorendo la possibilità di usare le risorse pubbliche come “leva” per un programma di upskilling e reskilling di grande efficacia e capace di mobilitare anche risorse private.
Il nodo di una formazione efficace perché finalizzata a un’occupazione già individuata ha portato a considerare in modo più approfondito il ruolo che il sistema delle imprese deve giocare nei riguardi dei percorsi educativi, rilanciare le esperienze di alternanza scuola lavoro, e della formazione professionale. La realizzazione di una reale sistema duale e nuova linfa per un apprendistato di sostegno al sistema formativo sono riforme non più rinviabili e che farebbero cadere i pesanti pregiudizi anti-imprese che ancora ammorbano i dibattiti su scuola-lavoro.
Nuove relazioni sindacali e l’apertura di nuove forme di partecipazione dei lavoratori alla vita delle imprese, come rilanciato dalla Cisl con un progetto di legge di iniziativa popolare, sono strumenti importanti anche per supportare questo nuovo ruolo sociale che può essere giocato dalle imprese.
Alcune esperienze di contrattazione di prossimità hanno fornito esempi importanti di come sia possibile sviluppare flessibilità e insieme nuove tutele e crescita salariale. Accordi aziendali per figure di ricercatori hanno permesso di derogare alle rigidità dei contratti a termine e a tetti salariali fissati per le Onlus non compatibili con le professionalità necessarie. Lo stesso può dirsi per un nuovo ruolo assegnato agli enti bilaterali nel governo della trasparenza e legalità dei percorsi professionali dei lavori ad alta partecipazione di lavoratori (pulizie, vigilanza, agricoltura, ecc.).
Le esperienze di contrattazione aziendale e territoriale hanno indicato che, fuori da ogni rigidità ideologica sul contratto unico nazionale, è a quel livello che è possibile recuperare in incrementi salariali gli accordi di produttività. La scelta fra servizi di welfare e salario sarà bene favorirla attraverso politiche fiscali che permettano di detassare gli incrementi da aumento della produttività.
Il tema salariale è stato toccato con riferimento al tema del salario minimo. Pur non arrivando a una sintesi comune si può dire che, fermo restando che va difeso il minimo contrattuale laddove esistono accordi nazionali, si deve arrivare a fissare un parametro minimo per quei lavori che non hanno un riferimento contrattuale di riferimento. L’applicazione di quanto previsto dalla Costituzione sul riconoscimento delle rappresentanze sindacali ne deve essere il corollario. È questo però lo scoglio ideologico che frena ancora la scelta di come procedere verso una soluzione di salario minimo che tutti vorrebbero ormai attuare.
Concorde è stata la valutazione che un taglio del cuneo fiscale deve essere strutturale. Valido pertanto se taglia parti della contribuzione che non viene poi spostata sulla fiscalità generale come sarebbe nel caso delle quote Inps. Tagli sì, ma su voci che non vengono semplicemente spostate e che siano pertanto definitive.
A supporto di tutte le proposte si è però richiamata la necessità di restituire valore al lavoro. Sempre più i giovani si presentano con una visione del lavoro come puro sacrificio perché non è più portatore di una speranza di crescita economica e di soddisfazione. Rimettere in moto l’ascensore sociale è stato sottolineato come indispensabile se vogliamo che il lavoro torni ad essere fattore di inclusione, crescita individuale e contributo al benessere collettivo.
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