Una delle domande che più volte mi sono sentito rivolgere durante incontri, lezioni e seminari da giovani che stavano per entrare nel mondo del lavoro è la seguente: “Come si fa a scegliere il proprio lavoro?”.

Premetto che la mia personale risposta a questa domanda così affascinante è di sicuro minoritaria rispetto alle due grandi tesi che vedo circolare da anni. Quindi, prima di presentare la mia opinione identifichiamo i limiti delle due tesi mainstream. La prima ha dietro una matrice molto utilitaristica che si può riassumere nella seguente frase: “Fai il lavoro dove puoi guadagnare di più”. In questo caso lo scopo è massimizzare le proprie capacità con la finalità di ottenere un ritorno economico elevato. Il grande problema di questo approccio al lavoro è sotto gli occhi di tutti: ci sono persone che magari guadagnano un ottimo stipendio, ma sono stressate o peggio annoiate e questo finisce immancabilmente a incidere sulle relazioni personali, sulla propria psiche e infine sul lavoro.



Il secondo approccio a questa domanda identifica la risposta in una frase tanto bella quanto pericolosa: “Fai ciò che più ti piace”. Ho conosciuto anche in questo caso tantissime persone, non solo giovani, che hanno deciso di seguire questo mantra e hanno effettivamente iniziato il lavoro che più consideravano ideale, fosse questo l’artista, il giornalista e via dicendo. Dopo pochi mesi, si sono accorti però che senza un aiuto economico da parte delle famiglie non erano in grado di pagarsi le spese per vivere. Infatti, il problema di questo approccio è che propina un sogno dimenticandosi che purtroppo non tutti i sogni si realizzano. Così dal sogno si passa alla fantasia e poi alle visioni che non permettono di riconoscere che magari non si è fatti per lavorare in un certo campo e per svolgere un certo mestiere. 



Tentando di unire un sano realismo con uno slancio ideale che reputo fondamentale non solo nella vita in generale, ma anche e soprattutto nel lavoro, alla domanda con cui abbiamo iniziato questa riflessione io rispondo dicendo che il lavoro perfetto, quello che vi invito a riconoscere e poi a svolgere, è quello che valorizza tre caratteristiche fondamentali:

1) Il lavoro che ci piace, perché non si può passare la maggior parte del nostro tempo facendo un lavoro che non reputiamo interessante.

2) Un lavoro in cui siamo bravi, perché è inutile incaponirsi a fare dei mestieri in cui nonostante i grandi sforzi non si riesca a performare in maniera soddisfacente, rischiando di far perdere tempo non solo a noi ma anche agli altri.



3) Un lavoro riconosciuto utile dai nostri clienti. Quest’ultimo punto è fondamentale perché se siamo concentrati a costruire valore solo per noi stessi, non troveremo mai clienti che vorranno pagarci per i nostri prodotti o servizi.

La grande sfida a cui invito a riflettere i tanti compagni di avventura che si apprestano a cercare o magari a ricercare un lavoro dopo essere fuoriusciti dalle aziende è capire in quali circostanze concrete si riescono a valorizzare al massimo i tre fattori che ho sopra citato. Questo approccio ha il vantaggio di non essere né cinico come il primo, né evanescente come il secondo, tenendo conto che è nelle circostanze reali che ciascuno di noi è chiamato a testimoniare i propri ideali anche attraverso il lavoro.

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