Ci sono due rischi nell’affrontare in questo periodo i grandi temi del management e della leadership. Il primo rischio è quello degli algoritmi: pensare che basti impostare bene un problema per trovare automaticamente e continuamente la risposta. Il secondo è quello della semplificazione: ritenere che esistano soluzioni semplici per problemi complessi, in un periodo peraltro in cui la complessità è un dato di fondo.
Questo è vero per la gestione aziendale, ma in parte è vero anche per la politica dove, peraltro, la logica degli algoritmi è difficilmente applicabile, mentre è largamente praticata l’arte della semplificazione. Ovviamente non la semplificazione delle procedure burocratiche, da sempre promessa e largamente inattuata, ma la semplificazione delle strategie soprattutto pensando che una iniezione di denaro possa essere la soluzione per risolvere tutti i problemi. Abbiamo così visto la proliferazione di bonus, assegni, agevolazioni, redditi più o meno motivati, anche approfittando dell’allargamento delle maglie della finanza pubblica. Magari poi scoprendo che il disagio sociale non solo non è diminuito, ma, come la povertà, è significativamente aumentata.
C’è poi un aspetto di fondo che tuttavia appartiene più alla politica che al management: la mancanza di una base e di una prospettiva culturale. Nel senso della conoscenza della storia della civiltà, una storia ricca di grandi esempi soprattutto nel campo delle arti, della letteratura, della pittura, dell’evoluzione delle scienze umane.
Stiamo percorrendo l’anno dedicato a Dante Alighieri, per celebrarne i 700 anni dalla morte, e non sono mancate, come non mancheranno le occasioni, per cogliere i segni, non solo simbolici, che ci ha lasciato il Poeta.
Ma tra i classici ci sono innumerevoli testimonianze di un cammino dell’umanità che può offrire significativi spunti di riflessione per la vita di oggi. Magari superando la ritrosia nel riprendere in mano quei libri che pochi o tanti anni fa hanno accompagnato i nostri percorsi scolastici.
È il caso dell’Odissea, uno dei grandi poemi epici attribuiti a Omero, in cui si narrano le vicende di Ulisse dopo la fine della guerra di Troia. Un poema ricco di vicende, eventi, personaggi: dove la storia si mischia con la fantasia, dove la vita degli dei interferisce con quella degli uomini, dove la ragione e le passioni costituiscono un intreccio inestricabile. Odissea è diventata sinonimo di avventura, di imprevisti, di peripezie.
A Ulisse e ai suoi insegnamenti è dedicato il libro di Enrico Cerni e Giuseppe Zollo (“Ulisse, parola di leader”, Ed. Marsilio, pagg. 220, € 19), un manager e un docente di ingegneria che non si limitano, e sarebbe comunque già meritorio, ad analizzare il poema alla luce delle problematiche manageriali, ma affiancano i 24 capitoli con i “consigli di lettura” di altrettanti libri di più stretta attualità.
“Ulisse – affermano Cerni e Zollo – è un leader in grado di dare il meglio di sé nei diversi ambiti di azione, adattando la propria strategia alle situazioni, dimostrando che la leadership situazionale è solo un modo diverso di esprimere il concetto di possedere una “mente colorata” cioè dell’essere polytropos, essere umano in grado di volgere il proprio pensiero in molte direzioni”.
Come si afferma nella conclusione ognuno di noi è un po’ Ulisse o, in molti casi, vorrebbe essere Ulisse. Per tanti elementi: il richiamo del viaggio, la forza della sfida, la ricerca della bellezza, la volontà di trovare soluzioni nuove, la capacità carismatica del comando, il bisogno dell’utopia. Magari per scoprire che “prendersi cura dell’altro è l’antidoto più efficace al veleno della prepotenza del potere”.
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