23 aprile 2020 – Sede del Consiglio europeo: la trattativa è difficile e al tavolo, l’Italia, si presenta alquanto debole. Saranno ore decisive quelle che l’Europa, e soprattutto il nostro Paese, dovrà affrontare nella giornata odierna. Focalizzando l’attenzione al presente, e inevitabilmente all’imminente potenziale futuro del Bel Paese, tornano alla mente non positivi ricordi. Il premier Conte, l’avvocato del popolo, dovrà sostenere la propria arringa cercando di ottenere quanto più possibile: e i margini appaiono molto esigui.



Alla vigilia di questo fondamentale appuntamento per le sorti dell’Italia, l’ultima “sentenza”, è arrivata con la “Nota sulla congiuntura – aprile 2020” a firma Upb (Ufficio parlamentare di bilancio): «Secondo stime effettuate con i modelli previsivi di breve termine dell’Upb nel trimestre scorso il Pil dell’Italia si sarebbe ridotto di circa cinque punti percentuali. Verosimilmente la riapertura delle attività economiche, a partire da maggio, sarà necessariamente graduale, per cui nel secondo trimestre la contrazione congiunturale del prodotto risulterebbe ancor più marcata, collocandosi nell’ordine di dieci punti percentuali» ovvero una flessione cumulativa di circa quindici punti percentuali nei primi due trimestri dell’anno.



Ecco come, dopo le stime del Fmi, e successivamente ai dati presentati da Banca d’Italia con il suo recente “Bollettino economico Numero 2 / Aprile 2020“, la pubblicazione dell’Upb, certifica – in sede parlamentare – la nostra conclamata difficoltà. Ci troviamo di fronte a un bivio senza alcuna possibilità di scelta poiché, anche sul fronte finanziario – quello dei mercati – l’Italia risulta essere un facile bersaglio: il sempre temuto spread ha ripreso valori che non possono permettere di abbassare la guardia (nella giornata di ieri è stata superata area 280 punti per poi rientrare a 256).



Andando inoltre a quantificare l’eventuale assicurazione quale protezione per il rischio Paese (Credit Default Swap a 5 anni) si assiste a una dinamica di prezzo che oggi vede affiancate l’Italia e la Grecia. Dopo i minimi registrati lo scorso febbraio (entrambi i Paesi registravano valori inferiori a 100), si può notare come a metà marzo ci sia stato un significativo incremento della Grecia (oltre 400 punti) rispetto a un’Italia a quota 258. Nell’arco delle successive giornate, il Paese ellenico, ha visto un positivo ritracciamento che lo ha riportato in prossimità di area 145 (al pari del nostro Paese), mentre, dallo scorso 26 marzo, è evidente, un chiaro parallelismo (crescente) tra i due andamenti.

L’insieme di questi dati, al pari delle relative considerazioni finora utilizzate a commento delle numerose stime sullo stato futuro della nostra economia, sono a conoscenza di tutti. Gli stessi partecipanti all’odierno tavolo (anche se virtuale) del Consiglio Ue sono consapevoli dell’attuale momentum italico. Il premier Conte appare isolato, e il suo «lottare», non sembra essere supportato dalla forza dei numeri a sua disposizione.

I desiderati eurobond non appaiono all’ordine del giorno e, l’eventuale formulazione del Recovery Fund, appare ancor più astratta. Un Mes incondizionato o parziale la scelta è obbligata: prendere o abdicare. Oggi, per il nostro Paese, è auspicabile, un nulla di fatto. Un necessario “non fare” per meglio agire nelle prossime settimane anche se già consapevoli che, in ottica di un eventuale nuovo appuntamento, l’Italia potrebbe presentarsi in uno stato economico/finanziario peggiore rispetto all’attuale con una prima obbligata verifica già venerdì attraverso la lente di in gradimento dell’agenzia di rating Standard & Poor’s.

Abbiamo avuto tempo e quest’ultimo è finito. Dobbiamo «lottare» per prendere più tempo. Quel tempo che, inevitabilmente, ci è ormai sfuggito e, con molte probabilità, ci sfuggirà (sempre) rispetto ad altri Paesi cosiddetti “più virtuosi”. Mai come oggi è opportuno affermare come il tempo sia denaro. Il denaro che a noi manca, quel denaro che “non dorme mai”, quel denaro che, a ogni costo, dovrà essere accettato.

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