Con il Consiglio Europeo di oggi e domani a Bruxelles si apre il “D-Day” per il futuro dell’economia europea: i Capi di Stato, per la prima volta dall’inizio della pandemia Covid-19 in presenza e non in videoconferenza, si riuniscono con i vertici Ue (Von der Leyen, Gentiloni, Sassoli, Michel) per dirimere un possibile accordo su Recovery Fund (Next Generation Eu) e il Quadro Finanziario Pluriennale (Qfp) 2021-2027 in merito alla ripresa e resilienza post coronavirus. Come rilanciato da Conte, Merkel e Macron, il Consiglio Ue si appresta ad essere tutt’altro che facile e addirittura il Primo Ministro olandese Mark Rutte ha espresso in “meno del 50%” la possibilità di trovare un accordo soddisfacente per tutti già domani: per provare però a capire cosa si potrà decidere (e cosa “balla” sul tavolo delicatissimo di Bruxelles) può essere utile osservare il lungo documento redatto dal Senato italiano in merito all’imminente Consiglio Europeo del 17-18 luglio 2020. In prima battuta, chiariamo i termini dell’ordine del giorno: per Next Generation Eu si intende lo strumento redatto dalla Commissione Europea per incrementare il bilancio su base temporanea tramite nuovi finanziamenti raccolti sui mercati finanziari per un ammontare pari a 750 miliardi di euro. Di questi fondi, 500 sarebbero destinati con sovvenzioni a fondo perduto mentre gli altri 250 riguardano prestiti messi a disposizioni dagli Stati membri con interessi da restituire tra il 2028 e il 2058. Per Qfp invece si intende la dotazione in impegni di spesa – a prezzi 2018 – di 1.100 miliardi di euro. E’ prevista la creazione di nuovi strumenti e il potenziamento di programmi chiave per rendere disponibili i fondi lì dove vi è maggiore necessità.



I 6 PUNTI CHIAVE AL CONSIGLIO UE

Nel invitare i Capi di Governo al Consiglio Europeo di oggi e domani il Presidente Charles Michel ha spiegato «Gli obiettivi della ripresa possono riassumersi in tre parole: convergenza, resilienza e trasformazione. Concretamente, questo significa riparare ai danni causati dalla COVID-19, riformare le nostre economie e rimodellare le nostre società»: in attesa di capire se l’accordo sarà davvero possibile domani pomeriggio nelle conclusioni della riunione europea, sono definiti in 6 i punti effettivi al tavolo del Consiglio Ue. 1- L’entità del Qfp (1 074 miliardi di euro); 2- Le correzioni forfettarie per Danimarca, Germania, Paesi Bassi, Austria e Svezia, ovvero il tema dei “rebates”; 3- L’entità del fondo per la ripresa (750 miliardi di euro), «Tali fondi potrebbero essere utilizzati per prestiti back-to-back e per spese convogliate attraverso i programmi del QFP»; 4- Prestiti e sovvenzioni, ovvero il tema forse più scottante sulla divisioni tra fondi perduti e prestiti (distinti in 70% e 30% in base al debito pubblico e Pil dei singoli stati); 5- Ripartizione del dispostivi per la ripresa e resilienza; 6- Governance e condizionalità, ovvero la scelta decisiva tra Commissione Europea o Consiglio Ue per decidere i vari stanziamenti dei prestiti e i monitoraggi successivi. Secondo la proposta di Recovery Fund lanciato dal Presidente Michel, «Sia al QFP che alle risorse raccolte tramite Next Generation EU si prevederebbe di applicare un “obiettivo climatico generale” del 30%, da destinare esclusivamente a progetti legati al clima. Le spese finanziate con fondi UE dovranno rispettare l’obiettivo della neutralità climatica entro il 2050 e contribuire al raggiungimento dei target climatici dell’Unione».



LA POSIZIONI DEGLI STATI

La situazione delle singole posizioni negoziali è purtroppo al momento tutt’altro che “chiara” visto le innumerevoli trattative continuate fino alla serata di ieri: non solo, il Parlamento Europeo a guida David Sassoli ha evidenziato sulla proposta di Recovery Fund Michel-Von der Leyen il “rammarico” per i tagli al Quadro Finanziario Pluriennale (il bilancio della Comunità Europea) su «Erasmus+, Europa digitale, Orizzonte Europa e alle risorse dedicate alle migrazioni». La divisione del tavolo oggi prevede sostanzialmente tre aree distinte: l’Europa del Sud che ritiene che i fondi da 750 miliardi del Recovery Fund siano il minimo indispensabile per la ripresa piena dell’economia globale; i paesi frugali ((Danimarca, Austria, Paesi Bassi, Svezia) sono invece contrari alla mutualizzazione del debito e puntano a ridurre di almeno 100 miliardi la quota delle sovvenzioni a fondo perduto, mentre spingono per i prestiti con forti condizionalità riassunte nell’assunto del Premier olandese Rutte «o fate le riforme concordate oppure niente sovvenzioni»; il “gruppo della coesione”, ovvero Visegrad (Paesi dell’Est, Ungheria, Bulgaria, Slovacchia, Polonia e Repubblica Ceca) auspicano un Qfp basato solo sul lungo termine e fondato su politiche esistenti della coesione e della PAC (Politica Agricola Comune). Da sottolineare che tutte le divergenze aumentano la probabilità di fallimento dell’accordo immediato dato che «l’approvazione del regolamento relativo al QFP avviene sulla base di una procedura legislativa speciale stabilita dall’art. 312 del Trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE), in virtù della quale il Consiglio delibera all’unanimità previa approvazione del Parlamento europeo, che – deliberando a maggioranza assoluta dei suoi membri – può approvare o respingere la posizione del Consiglio, ma non emendarla», spiegano i tecnici del Parlamento.



LO SCONTRO SUI REBATES

L’Italia di contro propone

, su sponda Spagna-Francia e in parte anche Germania, sostegno alle proposte della Commissione, evidenziando però la necessità di concentrare le risorse dove ve ne è più bisogno e di utilizzarle per costruire «un’Unione più sostenibile, attenta alle politiche sociali e ambientali. È stata sottolineata l’importanza di costruire una governance tale da garantire la rapidità degli esborsi e di prevedere una percentuale di prefinanziamento all’atto dell’approvazione dei piani». Come ha spiegato alla vigilia del Consiglio Europeo il Premier Giuseppe Conte, «dobbiamo approvare al più presto il Recovery Fund e il Quadro Finanziario Pluriennale. Le nuove risorse ci consentiranno di investire nelle infrastrutture, nella digitalizzazione e di perseguire il rilancio economico e sociale di cui il nostro Paese ha bisogno. Confrontiamoci duramente, lavoriamo meticolosamente sui dettagli, ma non perdiamo di vista la prospettiva e la visione “politica” che guida la nostra azione. È il tempo della responsabilità».

L’Italia proverà a negoziare un Recovery Plan fin da fine luglio e che non vi siano tagli a quei 500 miliardi (sui 750) di sovvenzioni proposti da Francia e Germania, come invece vorrebbero proporre i “Paesi frugali”. Sul tavolo però restano anche i cosiddetti “rebates”, ovvero gli sconti sui contributi al bilancio che l’Unione Europea concede ad alcuni Paesi come Olanda, Danimarca e Svezia che “sfruttano” normalmente meno i fondi Ue. Conte su questo punto ha già fatto intendere che battaglierà proprio come “do-ut-des” sull’accordo finale del Recovery: «fin dal negoziato precedente alla crisi da Covid-19, abbiamo definito i rebates anacronistici. Ne comprendiamo l’elevata importanza per alcuni Stati Membri, in termini di politica nazionale, ma vogliamo credere che tale sensibilità venga accompagnata da quegli stessi Stati Membri da apertura e flessibilità riguardo a ‘Next Generation EU’. Una difesa dei privilegi unita ad una chiusura su ‘Next Generation EU’ risulterebbe inspiegabile, minando l’opportunità di ripresa economica a Paesi, regioni e settori più colpiti da una crisi senza precedenti e colpendo i numerosi lavoratori e imprenditori che guardano all’Europa per ricevere protezione per il presente ed il futuro loro e delle loro famiglie». Come ben spiega il fondo dell’Huffington Post, per Olanda, Germania, Austria e i paesi che beneficiano dei ‘rebates’ «privilegi a suo tempo concessi alla Gran Bretagna di Margaret Thatcher e rimasti a disposizione degli Stati che sfruttano meno i fondi Ue, non possono puntare a mantenerli e allo stesso tempo remare contro il recovery fund».