Quello che sta succedendo in Italia a causa della ripresa del Covid ha qualcosa di incredibile.

Davanti all’insipienza del governo, al girare a vuoto dell’opposizione, bene ha fatto il presidente Mattarella a convocare il Consiglio supremo di Difesa, convocazione che deve suonare come un campanello di allarme per una classe politica che si muove come un pugile suonato. Aveva ragione Francesco Forte quando avvisava ad aprile che la fase due non poteva essere affidata ad “un grande fratello”. Perché una gestione di una crisi totale ha bisogno di essere gestito in modo ottimale. “Il regime gestionale – parole di Forte – con la cabina di regia del premier e della Protezione civile non basta, è troppo monocratico, troppo assistenzialista, senza esser in grado di inserirsi nell’intrico europeo e in quello delle sue politiche fiscali e monetarie. È troppo poco rappresentativo della nazione”.



E adesso rispetto ad aprile quando fu lanciato il monito, la situazione del paese è peggiorata, forse arrivando al limite. Ha infatti qualcosa di incredibile l’andamento della gestione politica della crisi sanitaria, già trasformata in crisi economica ed ora in crisi sociale.

Come meravigliarsi del caos dei trasporti, se poco si è fatto addirittura per il settore più importante, la sanità. Evidenti fin da subito le criticità. Innanzitutto, la medicina di base con il sistema non funzionante dei medici di famiglia (non si sta parlando dei singoli medici). In pratica è saltato il filtro e la gestione a livello capillare dei malati e presunti tali, con il risultato di abbandonare i pazienti a se stessi, di farli sentire soli e facendoli affluire agli ospedali, con la conseguenza di veder tracollare i pronto soccorso, trasformati in perfetti diffusori del virus. In secondo luogo, la carenza dei presidi ospedalieri territoriali e in terzo luogo,  la mancanza di posti letto in terapia intensiva e rianimazione, specialmente in alcune regioni.



Nessuno chiede ad un governo di mettere in campo una riforma organica della sanità nazionale durante una crisi, nel bel mezzo di un’epidemia mai vista. Ma un po’ di buon senso e capacità gestionale sono il minimo, come cittadini dobbiamo esigerle sempre!

E maggioranza e opposizione dovevano fin da subito proporre delle soluzioni che ovviassero a queste drammaticità. Se è impossibile lottare contro l’ordine dei medici, se in Italia le corporazioni impediscono qualsiasi riforma, se manca il tempo, si deve aggirare il problema. Ad esempio, la soluzione di creare delle squadre di operatori sanitari con il compito di andare a domicilio, alle dirette dipendenze del Ssn è stato un rimedio giusto, ma portato avanti timidamente, con risorse scarse. Lasciato alla buona volontà delle singole regioni.



Lo stesso si dica della scarsità dei posti letto in terapia intensiva e rianimazione. I dati sono arcinoti e non li ripetiamo. Siamo carenti e sotto la media europea in terapia intensiva, in rianimazione, in day hospital e in degenze ospedaliere post operatorie.

Ma il disastro si raggiunge quando si apprende che non siamo riusciti a spendere i soldi messi a disposizione attraverso il decreto Rilancio che aveva stabilito la costruzione di 3.500 nuovi posti letto per le terapie intensive per raggiungere il numero di 14 ogni 100mila abitanti. La realtà è ben diversa: risulta che ne siano stati attrezzati solamente poco più di 1.200, metà dell’obiettivo stabilito dal governo. Per di più la loro realizzazione non è ripartita in modo omogeneo sul territorio.

Adesso è il tempo di trovare soluzioni. Non è il momento di capire di chi siano le responsabilità, se politiche, amministrative o dell’architettura istituzionale italiana.

Davanti a questo dramma epocale, l’incapacità della classe politica, nessuno escluso, è manifesta. Davanti ad una situazione eccezionale c’è bisogno che anche le soluzioni siano all’altezza.

È necessaria una gestione politica straordinaria a tutti i livelli, dal governo del paese al piano tecnico. Azione che sappia superare l’inadeguatezza di questa politica e aggiri le pastoie in cui è avvolta ordinariamente la nostra pubblica amministrazione.