Ursula von der Leyen loda i corridoi umanitari italiani e la serietà dell’Italia nell’approccio al problema migratorio. Tuttavia non è chiaro, al momento, che posto occupi realmente la Tunisia nell’agenda europea. Josep Borrell però ha dato l’allarme, ipotizzando che la Tunisia possa “affondare”; e la Commissione sta “valutando un viaggio in Tunisia con il ministro italiano Piantedosi”, ha annunciato ieri la commissaria Ue Ylva Johansson. Il problema è molto serio. Per Toni Capuozzo, giornalista e inviato di guerra, “rischiamo di assistere a una tempesta perfetta”.
Quale crisi ci siamo persi?
La Tunisia mi ricorda la Grecia. È vero, non è un Paese membro, ha con l’Ue un partenariato di libero scambio, ma è in crisi gravissima, con un debito pubblico e una disoccupazione alle stelle. L’Italia, l’Ue e gli Usa premono perché Tunisi sottoscriva il prestito da quasi 2 mld di euro del Fmi, ma i tunisini lo vedono come un ricatto.
Non è una situazione nuova: aiuti in cambio di riforme. Ma quali riforme?
Grandi tagli al pubblico impiego e abolizione di una serie di sussidi su benzina e beni alimentari di prima necessità. E privatizzazioni. Riforme di impronta liberista che non sono affatto ben viste in un Paese di orientamento dirigista. L’eredità di Bourghiba non è stata facile da gestire. Poi è venuta la tormentata fase post-Rivoluzione dei gelsomini, con il lavoro pubblico a fare da valvola di assorbimento dei contrasti sociali. Pare che solo Tunisair dovrebbe licenziare un migliaio di dipendenti.
Quando c’è di mezzo il Fmi, si richiedono anche standard più “democratici”.
Certo. Infatti è per le carcerazioni facili e il presidenzialismo poco conciliante di Saied, se oggi la Tunisia è meno simpatica che in passato. Ma c’è un dettaglio politico importante. Sul no al prestito capestro il presidente e l’opposizione marciano d’accordo.
Nel frattempo è intervenuto un fatto nuovo: l’interesse della Nato. Non solo nel contrasto all’immigrazione illegale. “Lavoriamo con partner come Mauritania e Tunisia” ha detto Stoltenberg “per rafforzare la loro capacità e dunque la loro stabilità”. “Ma l’aumento della presenza russa in Africa dimostra che la Nato non ha il lusso di poter scegliere su quali fonti concentrarsi”.
Mi sembra che siamo davanti a una tempesta perfetta. In tanti Paesi africani ho visto personalmente molte situazioni simili, il partner europeo di turno che alzava il dito non solo per insegnare le misure economiche, ma anche per ammaestrare sulle libertà democratiche da rispettare. Questo ha spalancato alla Cina molte porte.
Spiegaci meglio.
I cinesi arrivavano e dicevano: voi siete liberi di fare quello che volete, non siamo noi a dover giudicare i vostri standard democratici (e su questo non mi sentirei di dar loro torto). Noi costruiamo le infrastrutture, voi ci date terre rare e materie prime. Questo ha tolto molti Stati da una condizione morale di sudditanza, anche se non hanno fatto votare le donne il giorno dopo.
Per tornare alla Tunisia?
A smuovere la Nato non sono i migranti che salpano verso l’Italia e l’Europa, ma la presenza preponderante di Cina e Russia a sud del Sahara. Scusami, cos’ha detto Borrell?
Ha parlato di possibile “affondamento” di Tunisi. “Bruxelles non può aiutare un Paese incapace di firmare un accordo con il Fmi. Saied deve portare a termine questa trattativa”.
Ecco. L’Ue ci dice che la Tunisia è quasi spacciata, ma non la aiuta se prima non firma un contratto capestro che avrebbe il risultato pressoché sicuro di mettere contro i governanti e la popolazione. Se fossi un ambasciatore russo o cinese avrei segnalato da tempo la cosa al mio governo.
È questa la tempesta perfetta?
È una situazione che sembra fatta apposta per far intervenire Pechino o Mosca. Il Governo deve fare attenzione, perché l’Algeria ha già una solida partnership con la Russia sulle armi. E nell’ovest libico, controllato da Haftar, ci sono i Wagner.
L’Italia ha margini di iniziativa?
Non siamo assolutamente in grado di favorire una rinascita tunisina con i nostri mezzi. Possiamo solo collaborare con l’Ue.
Tajani ha promesso che daremo 110 milioni al bilancio di Tunisi e alle Pmi attraverso la nostra Agenzia per la cooperazione allo sviluppo (Aics).
È una prova di quello che sto dicendo. Questa non è cosa da cooperazione, servono miliardi.
Il nuovo piano Mattei di Giorgia Meloni?
Per quanto interessante, lo vedo più come un richiamo storico alla liberazione dall’ipoteca delle sette sorelle che come qualcosa capace di incidere subito. Oltretutto la Meloni ne ha parlato in Algeria, che, ripeto, è una strettissima alleata di Mosca. Se il Cremlino decidesse di tagliare definitivamente i ponti, sono convinto che Algeri chiuderebbe i rubinetti del gas.
Che cosa abbiamo sbagliato?
Io sono lontanissimo dall’essere filo-Putin o filo-cinese, però mi ha fatto sorridere quello che si è detto in queste ore dopo la visita a Mosca: Putin cameriere di Xi e via dicendo. Noi siamo forse in un rapporto paritario con gli Stati Uniti? Lo è forse l’Unione Europea?
La Russia adesso non è più sola di prima?
Sì: abbiamo isolato Putin, lasciandolo con altri 5 miliardi di persone. In questo periodo c’è un’altra geografia che stiamo scoprendo.
Qual è il risultato di tutto questo?
Il risultato è che c’è una amplissima parte del mondo che oggi tende a fidarsi più della Cina che non degli Stati Uniti. Dovremmo avere la capacità, ma questo toccherebbe innanzitutto alla classe politica, di guardare il mondo facendo un passo indietro.
Visto che il momento è propizio, quale potrebbe essere l’iniziativa di Pechino in Tunisia?
Dare un aiuto economico, stipulare un qualsiasi accordo, ma di basso profilo. La Cina ha tutto l’interesse a mantenere buoni rapporti con l’Europa, perché siamo un grande mercato. Dunque nessuna operazione per noi ostile, ma una ciambella di salvataggio sì.
Dobbiamo temere uno scenario libico?
Non direi, perché la Tunisia è un Paese piccolo e omogeneo.
E se la crisi dovesse peggiorare, interessando anche il livello istituzionale?
A quel punto il Paese diventerebbe una piattaforma formidabile per scafisti e trafficanti. Sarebbe non soltanto un imbarco per i tunisini, ma un secondo polo di attrazione, dopo la Libia, per tutta l’Africa.
(Federico Ferraù)
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