Quella parola, “recovery”, che i linguisti definirebbero “falso amico”, la dice lunga sulla situazione dell’Italia in Europa. Non è di un ricovero secondo il senso italiano che si sta parlando al vertice europeo in corso da ieri a Bruxelles. Letteralmente “recovery” significa recupero.

Appunto: soldi che ci vengono dati per poi recuperarne la gran parte. Più prestito che dono, insomma: e siccome – comprensibilmente – i partner dell’Unione politica più sgangherata del mondo non hanno alcuna fiducia l’uno dell’altro, ecco che alcuni Stati, definiti frugali ma che tali non sono affatto, si sono di buon grado accollati il ruolo dei guastafeste e contrastano senza mezzi termini la pretesa italiana (e non solo) di poter prendere questi soldi senza dare alcuna garanzia sulle modalità attraverso le quali ciascuno stato debitore può ragionevolmente impegnarsi a restituirli.



A sostenere allegramente questo ruolo è il premier olandese Rutte. Diamo atto a quel che resta del nostro fronte sovranista un tempo maggioritario: questo Rutte ha veramente rotto. L’Olanda è un vergognoso caso di paradiso fiscale infra-europeo, uno di quelli che se i Trattati fossero stati scritti con la testa e non con i piedi, avrebbe dovuto essere messo al bando o ricondotto a disciplina fiscale ordinaria. Ma tant’è: gli olandesi ci sono, restano, pesano e passano pure per frugali.



Ebbene: Rutte dice in sostanza che l’Italia deve impegnarsi con un piano di riforme serissimo, tanto più severo quanto meno credibile è la buona volontà italiana di por mano agli handicap pluridecennali che stanno soffocando la nostra economia. E quindi un piano particolareggiato da monitorare nel suo andamento. Il governo italiano pretende di poter incassare l’abbondante fetta di Recovery Fund che ci spetterebbe, 172 miliardi su 750, senza prendere in cambio alcun impegno gestionale sull’economia. Gli olandesi dicono che al contrario prima dobbiamo presentare riforme credibili, poi dimostrare di essere capaci di attuarle e solo dopo saremo finanziati.



Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, sta mediando e ha proposto una cosa che sembra un assist al governo italiano. Cioè: ogni Paese fa i piani che vuole e li presenta senza dover temere il no degli altri. Che, cammin facendo, potranno controllare il decorso delle riforme nello Stato membro sotto indagine e se necessario bloccare l’erogazione dei fondi. Insomma: luce verde per avere i soldi, luce rossa – se serve – qualora li spendessimo male.

In realtà il diavolo è nei dettagli. A Bruxelles sanno perfettamente che l’Italia, accalappiata com’è in un nodo gordiano di ingestibile burocrazia, non sarà mai in grado di presentare un piano sostenibile. Quindi, per carità di patria, anzi di Unione, possono addivenire all’idea che sui piani non si va per il sottile e si sganciano i primi soldi, riservandosi però il diritto di chiudere i rubinetti quando sarà palese che le promesse della prima ora sono state vane.

Nel frattempo da Francoforte Lady Lagarde, presidente della Bce, ai giornalisti che le chiedevano se i modesti importi (relativamente modesti) che settimanalmente la banca centrale tramite le sue affiliate spende per rilevare Bond statali sono sufficienti, ha detto di sì. E se considera sufficienti importi che non riescono a ridurre sotto la soglia dei 170 punti base lo spread italiano vuol dire che si prepara a utilizzare la leva dello spread, lo spauracchio numero uno, per costringere l’Italia a rientrare ne ranghi. Ma con quale governo? Con questa compagine di sprovveduti? Improbabile.

Rimane una speranza ed anche un’incognita. Se Mario Draghi ha accettato di incontrare Luigi Di Maio e l’ha autorizzato a rende noto l’incontro non è perché gliel’ha chiesto Di Maio. Deve averglielo chiesto qualcuno di molto, ma molto più autorevole. E dunque qualcuno cui non si poteva dire di no. Per sentirsi chiedere dal capo grillino di sostituire presto Conte al vertice di un esecutivo di larghe intese, gestire per due anni l’emergenza della ripresa e poi essere nominato al Quirinale al posto dell’uscente Mattarella. Sarebbe un bel percorso.