Al momento in cui viene redatta questa nota, non si sa ancora se si troverà una mediazione soddisfacente per tutte le parti in causa al Consiglio europeo dopo giorni di intense e sfibranti trattative. Se l’esito sarà negativo, oggi sarà una giornata difficile per i mercati finanziari, che temeranno lo sfaldamento dell’Unione Europea. Un punto sembra certo: il presidente del Consiglio italiano, Giuseppe Conte, porterà a casa molto meno di quanto, con una certa baldanza, aveva assicurato e, nei palazzi romani, si riapriranno i giochi per trovare un nuovo inquilino per palazzo Chigi.



Cerchiamo di vedere cosa non ha funzionato nella strategia negoziale dell’Italia e quali scenari si aprono per il Paese (non tanto per il prof. avv. Giuseppe Conte). Il Governo italiano, probabilmente entusiasmato dalle proposte fatte dalla Commissione europea a proposito dei finanziamenti al nostro Paese a valere sul Next Generation EU, ha pensato di avere la vittoria in tasca ed è partito con una strategia all’attacco contro i Paesi, chiamati “frugali”, che rappresentano una proporzione modesta della popolazione e del Pil dell’Ue, ma che in un’Unione ancora molto incompleta “pesano” quanto i grandi.



L’Italia non ha tenuto conto delle numerose promesse fatte e non mantenute negli ultimi trent’anni (dal trattato di Maastricht in poi), dell’impegno a portare il debito della Pubblica amministrazione (che minaccia di toccare il 170% del Pil nel 2021) al 60% del Pil entro il 2000 o giù di lì, di avere utilizzato il ribasso del tasso d’interesse sul debito (dovuto alla partecipazione all’unione monetaria) per spese di parte corrente di natura assistenziale, di avere utilizzato la “flessibilità” richiesta e ottenuta negli ultimi anni per interventi che il resto d’Europa considera elettoral-clientelari.



Come ha ricordato Sergio Luciano ieri su questa testata, Conte non ha detto, al pari di De Gaspari alla conferenza per la pace di Parigi nel 1946 Prendo la parola in questo consesso mondiale e sento che tutto, tranne la vostra personale cortesia, è contro di me ma ribadito, più volte, che L’Italia è too big to fail (troppo grande per fallire) e che in caso di fallimento avrebbe trascinato con sé il resto dell’Ue. In breve, una strategia alla Lehman Brothers, facendo quasi finta di non ricordare come è finita la banca d’affari americana. Per di più ha attaccato frontalmente il suo principale avversario, il primo ministro olandese, minacciando di fare includere nella trattativa un tema – l’uniformazione dei sistemi tributari al fine di evitare “fiscalità di vantaggio” – che non è mai stato all’ordine del giorno del Consiglio. E ha anche minacciato di fare saltare il tavolo.

Soprattutto, ha fatto finta di non sapere che i nostri partner, tramite le loro ambasciate, sono informatissimi di quanto avviene in Italia: la fragilità del Governo a ragione dei numerosi dissidi nella maggioranza, la debolezza sua personale dato che la sua poltrona è insidiata dai suoi stessi alleati, le nuove nazionalizzazioni (più o meno in maschera) che pongono il Paese su una traiettoria molto diversa da quella del mercato unico e dell’unione monetaria (si ricordano tutti dell’accordo concluso a fine 1993 fra Andreatta e Van Miert per la privatizzazione delle numerose imprese a partecipazione statale in vista degli obiettivi europei). E via discorrendo.

Sarebbe stata più fruttuosa una strategia negoziale più astuta e meno gridata e basata sulla richiesta di supporto non solo per superare la difficoltà causate dalla pandemia, ma per affrontare quei nodi strutturali che da anni bloccano la produttività e aggravano le differenze di redditi e ricchezze in Italia. Ciò avrebbe comportato pronta adesione allo “sportello sanitario” del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) ed elaborazione di un ambizioso e coraggioso programma di riforme strutturali.

È probabile che anche questo Consiglio europeo sarà interlocutorio e che i 27 Capi di Stato e di Governo dovranno riunirsi ancora tra qualche settimana. In ogni caso, per l’Italia si profilano meno aiuti in totale di quanto atteso, più prestiti agevolati e meno doni e soprattutto una vigilanza più ferrea sui contenuti e sulla tempistica delle riforme.

Il presidente del Consiglio e il Governo potranno presentare quel che ottengono come una grande vittoria – come hanno fatto nel caso del compromesso in materia di autostrade -, ma sarà difficile mantenere la finzione troppo a lungo: il programma di riforme verrà in parte vergato secondo le indicazioni dei partner europei e soprattutto la tempistica e i contenuti della sua attuazione verranno monitorati attentamente.

Si apre uno scenario politico complesso perché l’opposizione griderà al commissariamento dell’Italia proprio quando sono in corso campagne elettorali.